mercoledì 21 ottobre 2009

Dove le emozioni sono abitanti volatili

Continuiamo a parlare.
Anche quando facciamo così fatica perché la lingua non preme sul palato a dovere.
Ma dobbiamo farlo, in fondo. E fino in fondo.

Fino a sentire le lingua dolorante prima di addormentarci. Fino giù, dove nemmeno a tirarla fuori dalla bocca davanti allo specchio riusciamo a vedere. Fin dove le parole e la voce nascono.
Giù, dove si annidano i nostri esseri molteplici. Dove le emozioni sono abitanti volatili che rametto dopo rametto hanno costruito una calda casa.

Giù, dove il male alla lingua mi fa venire voglia di pigiare dei tasti.

Questa vita è troppo umida, mi sono rassegnato a doverla contnuarmente rabboccare con nuova fiamma e illuminarla con nuovo sole, ove possibile, perché sia secca al punto giusto, in una nostalgia malinconica di masochismo.
In una vaga rappresentazione di quello che la vita ideale dovrebbe essere.
Come dovrebbe essere? (Viene da chiederselo).

Siamo aloni di macchie resistenti, gli omini bianchi non possono nulla qui e ora;
Siamo aloni di sudore.
Siamo capi sbiaditi.
E succubi di altri strati di tentato amor proprio.

Ho deciso di girare ancora una volta. E la via è più buia di quella che ho provato in precedenza.

Le lampadine ci sono, ma sono bruciate.

lunedì 12 ottobre 2009

uccidere i fantasmi e allenare il miocardio

Non mi ero svegliato con il solito tarlo nella testa.
Ce l'avevo quasi fatta.
Ma a volte, anzi sempre, ritornano.
Sia i fantasmi sia i conseguenti tuffi al cuore.
Ogni volta sembriamo dimenticarceli, ma quando li sentiamo ci accorgiamo di quanto il cuore non sia solo un organo che pompa sangue.

Sembra che li si annidino tutte le emozioni, in giacigli costruiti un rametto alla volta. Un rametto per volta, ognuno raccolto col becco. Abbiamo lavorato tanto per costruire una base solida, ma ogni volta sembra che possa scoppiare tutto.
E il punto è proprio che non scoppia mai.

Leggevo che senza malinconia non esiste poesia.
Leggevo che a volte le persone ci mancano più del dovuto.
E più di quanto sappiamo di poter osare.
Più di quanto sappia reggere il nostro miocardio.
Sappiamo di non potere, e che in realtà non lo vogliamo, ne siamo convinti, ma facciamo di tutto per evitare le prese di coscienza.
Siamo inconscienti.
Siamo incoerenti.
Siamo fregati.

Avevo riscritto i miei contorni un giorno, tempo fa.
Mi trovo a doverli riscrivere di nuovo.
Mi trovo a pensare che forse ho fatto tutto per niente, che probabilmente ho buttato tempo ed emozioni, sorrisi e complimenti, gasolio e consumo gomme.

Mi trovo a pensare che sarebbe un pelo tutto più sereno nonostante l'acciaio sotto il palato.
Si, più sereno.

Ma forse, al solito, mi piace immaginare. Mi piace vedere come potrebbero essere le cose se...
Forse sarebbe stato tutto fottutamente uguale ad ora, solo con dei connotati differenti.
Dei dettagli.
Delle piccolezze.
Visi diversi.
Occhi diversi.
Espressioni e sorrisi diversi.
Note diverse.

Probabilmente si.

Il gusto in gola è sempre quello di bruciacchiato.

martedì 6 ottobre 2009

Vaffanculo io vivo vivendo. ?

Mi ricordo una delle ultime volte che ho pianto. E mi ricordo che non m'aveva fatto bene. Forse ora funzionerebbe.

Stavo uscendo per andare a scuola, era la prima o la seconda o forse la terza media, non importa.
Volevo andarci in bici, perché tutti ci andavamo in bicicletta a scuola.
Non vedevo che problemi potessero esserci se anche io l'avessi usata.

Mio padre invece, a quanto parve, aveva problemi. E mi prese la bici, la spinse contro il muro di cinta e, arrabbiatissimo, mi disse: Va bene! Se vuoi andarci, vacci.

Non ho mai capito il perché. Forse la ragione erano i problemi che c'erano all'epoca; di quelli che quando una persona è troppo legata/fiera al e del proprio lavoro, che quando questo va male, e andava male lo ricordo benissimo, tutte le menate ricascano nella famiglia. E, in quel caso, nel FIGLIO più piccolo.

Io.

Piansi così tanto che alla fine andai a piedi.
Avrei detto "Vaffanculo" se avessi avuto più dimestichezza. Non lo dissi per rispetto, perché al proprio padre non si risponde, se non in casi eccezionali. E' questione di educazione.

Quel giorno fu il giorno più triste fino a quel momento. Ribadisco, fino a quel momento.

Le cose cambiano, ma oggi sotto quel portico c'è ancora quella bici. Passata per mani diverse, ma ancora li, per me, tutta sgangherata, col freno davanti che fa tremare il cerchione quando tiri il filo. E senza più il porta borraccia.

Fino a quel momento.
Poi si cresce, si frequenta gente, si baciano le ragazze, si fumano le sigarette, si leggono i giornaletti pornografici insieme ai proprio amichetti, mai con la amichette (non che ne abbia mai avute troppe, anzi).

Ci si nascondeva dietro la discarica io e A.
Si ascoltavano i Metallica.
Si faceva lezione di chitarra insieme.
Si andava all'oratorio, io e A.
Si iniziava a suonare nella sua cantina, io e A.
Si parlava di tutto, e sempre in maniera così sincera, che con lui la bicicletta restava a casa, senza lacrime e senza parolacce. Tenevamo vivi i piedi.

Mi manca quel tempo. L'epoca del "credodisaperetuttoevivovivendo". Vivo Vivendo.

Credevo fosse tutto.
Cosa ci è rimasto?

Sento dire che tu ora sia ingrassato, ne sono contento.
Il tuo corpo funziona ancora. Gli ultimi tuoi occhi che ho visto invece no.

Ma ancora non ho trovato tutto il coraggio per farmi vedere, e per farti vedere i miei occhi. E sento dire che altri l'hanno avuto.
Forse perché è stato diverso, noi.
Forse.

O forse che ogni tanto, un bel "vaffanculo" lo direi a me, in lacrime.

Vaffanculo.