domenica 23 maggio 2010

Tutto di un giorno eventuale non ancora vissuto, e a patto di mille condizioni.- #1

Ho pensato di entrare in un palazzo. Pensavo di percorrerne le scale lunghissime, fino in cima.
A guardare ogni nome scritto sui campanelli. Avrei letto ogni Benvenuto scritto sugli zerbini.
Accanito mi sarei fermato a prendere fiato. Non trovavo il nome, eppure l'indirizzo era quello giusto,credevo; anzi ne ero certo.
Pensavo: sfortunato come sono qua si finisce all'ultimo piano.
Ho seguito ogni ruga del muro, e guardato fuori da ogni finestra della tromba delle scale. Dovrebbero ripitturare i muri, e rifare gli smalti.
Ho camminato, e consumato e poi buttato milioni di paia di scarpe, e le vedo li, tutte appese per le stringhe.
Che strano, penso. Mi ero stupito del fatto che mi sarei dovuto stupire di fronte a questo, cosa che invece non accadde.
Ho visto persone uscire di casa e guardarmi tutti storti. Sentivo dei passi a volte, dei tacchi di donna da dentro gli appartamenti.
Ho origliato. Sentivo bambini con il volume della tv altissimo. Ho senito madri urlare di abbassare (sogghignavo). Ho sentito mogli arrabbiate, e mogli eccitate. Ho sentito dei bambini correre e scivolare. E uomini tornare zoppicanti dalla giornata di lavoro di un Martedì che non passava mai, e bestemmiare perché non c'era un ascensore.
Ho pensato che in un altro tempo e momento agli antipodi avrei potuto esserci io al loro posto. Ho pensato che è meglio adesso, in fondo.
Proseguivo, facendo saltellare le dita ad ogni macchia di ruggine sul corrimano, come se indice e medio fossero due gambe in corsa.

Quanto mi divertiva tamburellare coi polpastrelli.
Desideravo un po' di ristoro. Mi riconoscevo un po' bambino perché continuavo insistente a chiedermi quando sarei arrivato. E poi di nuovo. E un attimo dopo di nuovo. E ancora. Ancora direte voi? si.

In cima, tutto sudato, con gli occhiali storti che scivolavano sul naso, mi resi conto di essere arrivato.
Eccolo. Sorridevo, fiero e soddisfatto.
Titubavo ad aprire la maniglia. Cercai di farmi aria con le mani per asciugarmi, per dare una parvenza di non-sforzo, nel caso. In fondo dovevo dare idea di sicurezza.
Deciso a varcare l'uscio senza bussare, entrai.
Pensai che dopo una porta ci sarebbe stata una stanza, e poi una seconda porta, poi dei corridoi, delle lampade appese al muro.
Diavolo, avrei curiosato in ogni angolo, frugato in ogni cassetto, guardato nei frigoriferi, cercato un nuovo rotolo di carta igienica in bagno.
Avrei voluto trovarci dei divani in quell'appartamento, scoprirne ogni piega e ogni cucitura. Potrei giurare che ci avrei trovato un sacco di monetine sotto quei cuscini.
Avrei aperto armadi, e avrei avuto anche uno specchio per provarne il contenuto. Sarebbe stato quasi tutto della mia taglia.
Avrei trovato delle foto sui mobili, dei segni di vita recenti, una macchia in cucina, il calcare nel lavandino.
Avrei acceso la tv. Avrei avuto tutto il tempo di questo mondo.
televendite.
affari.
ottopermille.
alpini morti.
cerchi nel grano.
firme in calce.
In fede.
li.
deficit o eccessi di memoria.

Avrei aperto ogni astuccio nel bagno, provato ogni accendino, acceso una sigaretta nonostante non fumassi da anni, per fortuna erano almeno Chesterfield.
Avrei trovato un biglietto, un post-it come promemoria: "non devi dormire, arrivo".
Avrei fatto caso che la calligrafia era la mia.

Un po' sorpreso dal non trovarti, mi sarei seduto, deciso, per aspettarti.
Che caldo.
[..]


martedì 4 maggio 2010

Sbaragliare sgangherato e paventare stoicamente: Una successione di parole che ci portano dritti nelle tenebre

I bambini sulle altalene.
Vogliono di più.
E noi vogliamo il sangue, lo vogliamo rosso di nuovo.

Il diavolo non è così nero come lo si dipinge.
Quel nero, che stasera rende i bui della mia vita diversi dal solito. E' così strano che al solo pensiero ringiovanisco.
Il mio demone ha una forma diversa, un suono diverso, un tatto e un udito più sviluppati, un naso più fine, e gli occhi più vividi.
Ha i denti patinati, ma ha il fiato di uno che non mangia mai.
Il mio demone fa un rumore diverso. Sembra un suono artificiale. E non lo senti mai arrivare.
Il mio demone non ha un luogo, ma nemmeno è sempre con me. E soprattutto non lascia odore di zolfo.
Il mio demone è arrivato una notte e stava davanti a casa mia. Immobile, esausto. Aspettava me. Aspettava paziente il mio ritorno, era li per bucarmi il cuore con gli spilli.
Mi scrutò per delinearmi. Mi misurò come farebbe un sarto. Mi annusò. Era nato per quello. Ma si ricredette.
Quella notte erano uccelli notturni con la sua stessa patina sui denti che urlavano. Erano lui.
Sarei potuto stare tutta notte ad ascoltarli cantare, per tentare di decifrare il significato di quelle che di fatto erano parole, non versi volatili di un animale con le ali.

Erano quei bambini sulle altalene sotto una pioggia di quasi estate.
Erano i cani con l'eco.
Oppure erano solo vani ma chiarissimi tentativi di chiedere aiuto, ignorati.
Non riuscivo a capire.
Crollai, rassegnato, stremato.

Vogliamo il sangue, lo vogliamo rosso di nuovo come quando non volevo mai suonare la chitarra in pubblico, perché non conoscevo i barrè. Il mio demone sa anche questo. Conosce anche il momento e il perché di quando ho smesso con questo tipo di timori stupidi.

Lui era la soda caustica.
Era l'acido muriatico.
Era le risate strette tra i denti. Era quelle gonfiate.
Non aveva senso spiegare nulla. In fin dei conti, chi l'avrebbe compreso, se non Io?
Non aveva senso.

Il filo e il segno sono già persi in troppi kilometri percorsi senza che nessuno fiatasse o proferisse parola.
Persi nel coraggio che non ho più, nemmeno per addormentarmi.
Senza nemmeno il coraggio di guardarti.
Senza poterti nemmeno vedere per sbaglio.

Il mio demone si vede lontano un miglio che manca di empatia.
Ma so che non mi toccherà. So che non mi torcerà un capello se io non lo vorrò. E se lo vorrò, saprò di meritarmelo.
Non mi toccherà.
Ho imparato ad avere diversi profili di vita, e ad adattarli alle persone, ai luoghi, alle discussioni, amichevoli, o ostili.
E so che per questo se ne starà quieto, ad ascoltare, e ad aspettarmi tra le foglie ogni sera.

Il mio demone ha un sacco di camicie a righe blu. Che è poi l'unico motivo per cui potrei odiarlo.

Il mio demone quando ha voglia vive in casa mia. Dorme sui muri, trasparente.
Si può dire quindi che il suo inferno sia in casa mia.
L'inferno è in casa mia, e viceversa.

Se non ne comprendessi il significato, mi verrebbero di nuovo i brividi come la prima volta.