mercoledì 22 maggio 2024

I limiti -che non esistono- del nostro animo sconfinato.

 


"Our frequency divides us and the interval is less than the one.
We're one, We're all, but if We are all We're nothing. Let the circle blend."


A forza di desiderare io non lo so se si diventa desiderio, di se stessi verso se stessi, di non avere bisogno di nessuno per illuminarsi, di non avere mai più fame, o di riuscire ad alzarsi la mattina indistintamente perfetti sia con (1) le tasche sempre piene della stessa gioia dei giorni felici che con (2) della stessa maleodorante merda di tutta l'esistenza del mondo.

Serve a qualcosa sforzarsi così tanto? Faccio un piacere a qualcuno? O lo faccio per me stesso? 
Con chi sto parlando quando mi sveglio con la (2) in tasca, sui muri, sul pavimento ed esprimo il mio solito inizio di qualunque giornata con una bestemmia composta da divinità + animale dal menu del giorno?

A chi mi potrei rivolgere quando non riuscissi a rispondere alla mia stessa voce con la mia stessa voce? E' per quello che quando la ascolto sembra così diversa, come fosse di un'altra persona?

A forza di "palate" in faccia, ad una di queste domande forse non smetterò mai di rispondermi diversamente dalla volta precedente.
Forse era la voglia di smettere di prenderne, chissà. Forse era capire cosa avrei trovato oltre l'ostacolo gettando cuore, polmoni, milza, intestino, oltre l'ostacolo stesso. 

Ora che ci penso, è buffo. Così facendo, ogni volta, riesco a malapena a raccogliere i pezzi. Senza nemmeno avere il tempo di ricucire le mie stoffe come vorrei.
Potrebbe quasi sembrare che la mia voglia di vivere sia vestita tanto leggera che, senza avere il tempo di coprirmi, mi verrebbe da pensare che avrò sempre freddo da qui all'eternità.

Chi sono Io?

Sono sforzo ed energia infiniti all'infinito, sono contorno, sono carne, sono sensibilità, sono un'interminabile svapata a confondere tutti nell'essere un me stesso inevitabilmente diverso eppure fatto della stessa loro materia, sono creatività unica, sono consapevolezza precisa, sono sentimenti, sono uno sconfinato orizzonte islandese e una vista finita della provincia bresciana, sono errori, sono paura, sono un camminare scalzo al freddo, sono un malanno ricorrente, sono la mia anima in movimento, sono atomi caldi, veloci e frenetici, sono contemporaneamente incomunicabilità ed eccesso di informazioni, sono silenzio, sono volume altissimo, sono un divenire eterno, sono razionalità e la luce stessa che tanto mi piace ricordare che esiste, ultimamente, sono maestro dell'oscillare e come tale, umano, di materia infinita.

Quante altre volte mi risponderò diversamente da così?
Quanto cammino in una vita intera? Quanti battiti del cuore ho a disposizione?

Come pensavo, e come sottolineo ora, ogni domanda mi fa svestire di tutto per rivestirmi per affrontarne un'altra, nuovamente in ordine ma senza sapere se riuscirò a rispondere, senza sapere se riuscirò a rivestirmi in tempo, senza sapere se esista la fine.

Sono Io l'Io che mi fa le domande, per cui il processo non avrà mai fine? Nessuno capirà né vittima né carnefice, né imputato né giudice. Forse è proprio quello che voglio, streben nach mir selbst.

Oppure riguarda di nuovo gli occhi che tanto il mio desiderio insegue -Streben nach seinen augen- per i quali ho l'illusione che un giorno o l'altro riuscirò a guardarli per davvero.

(Grazie).

mercoledì 15 maggio 2024

Pensieri con forma di animale



Avocarmi il diritto di vivere la mia vita non è mai stato un dettame, una cosa detta perché dovesse essere fatta perché richiesta. Credo sia una necessità e, nella lista dei miei desiderata, credo sia anche una libertà naturale, una di quelle cose che sai che puoi, che sai che devi, che nessuno ti deve imboccare col cucchiaio perché ti possa nutrire.

Prima timoroso ora rapinoso.

Superpoteri, non sappiamo di averli ma a volte sappiamo già usarli. Ognuno ha il suo, qualcuno si illumina di malinconia riuscendo però a creare facce e lineamenti diversi ma sempre a forma di risata, belli sempre, a momenti incredibili, che spaventano coi loro contorni, con le loro linee belle. 

Altri riescono a scavare a mani nude nel nulla, e riescono a trovare l'oro ogni sera, sotto forma di consapevolezze. Rendiamoci conto della nostra incredibilità, anche durante il giorno. E' il miglior augurio da fare e ricevere, quello di essere sè stessi. 

Non la felicità, la felicità è una parola inventata con sapiente maestria artigianale.
E' la carota che inseguiamo, ma ogni volta il bastone si allunga e l'asino a volte è stanco.

"Atteso dall’attesa, perdo il filo in pensieri da pensiline per ripararmi dalla pioggia, di molti plichi fermi e mai moltiplicati. Mi manca(va) l’essere bestia". 

Ora sono di nuovo bestia. 

Ma non un asino, un fottuto brontosauro.

giovedì 2 maggio 2024

Le docce delle spiagge



In questi giorni ne ho per tutti.

Complice la mia rinnovata spensieratezza, mi soffermo spesso a guardare il tutto dell'orizzonte, dei cieli e dei muscoli facciali che si contraggono in bellissime facce buffe e anche serie. Ho tempo, non mi insegue nessuno. La libertà è qui fuori dalla porta, la posso sentire col naso e con le orecchie. Non è la fine, è la libertà che sta bussando ed è la mia personale versione della gioia, che sto inseguendo.

"How can something born with wings ever know freedom to truly be free?"

Siamo nati con le ali, e non ne avevamo idea. Riuscirei a usare la spada del perdono universale per un attimo, se riuscissimo a farli soffiare sempre così i nostri venti, per farci "attrarre dall'azzurro e dal giallo", e a farli uscire sempre tutti i nostri sentimenti.

Oggi sono un fiume in piena di parole mai dette per vergogna, di sincerità usata male per timore del giudizio, di raffiche di mitra che non fanno male, di orgasmi oculari desiderati da luce incredibilmente forte, di sospiri perché comunque potrei sempre dire cose di cui poi mi pento (dannate vite degli altri).

Ed ogni volta che me lo sento scorrere dentro, mi stupisco di quanto, senza saperlo, riesca ad illuminare tutto intorno. E' un superpotere bellissimo, avere gli occhi che accendono non solo il buio, ma che illuminano anche la luce...E più mi avvicino per guardare, più scopro la natura dei nostri tratti, delle perfette imperfezioni e delle cose a caso a cui penso seduto su una panchina a guardarlo negli occhi. 

"Enrico, la indovino con una."

Con tutti questi pensieri annodati sarebbe facile farne una bella pallina di carta e semplicemente lanciarla cercando di fare canestro nel cestino. Ma noi, che siamo gufi altamente istruiti e non ci perdiamo in barbaggianate, quisquilie e pinzillacchere, abbiamo tutto il diritto di meravigliarci continuamente di fronte alla bellezza della semplicità delle cose normali, e delle risate sane, delle belle serate passate con sconosciuti, dei pensieri che iniziano dalla parte giusta, passano da quelle sbagliata ma che finiscono poi a star bene col vino e il mal di testa, fregandosene delle giornate degli altri.

E quindi eccomi Luce, di nuovo a far rimbalzare le pupille tra un freddo Aprile che diventa un nuovo Maggio e un cercare di non farmi sgamare mentre cerco i tuoi occhi nell'aria. 

Ora è quando "la gioia mi scalfisce, non ho difese". E il sangue non è cattivo, oggi il sangue me lo immagino avere un profumo e sapore buonissimo, non certo quello della doccia delle spiagge.

lunedì 29 aprile 2024

(quasi) Tutte le cose che mi ricordo

[...]

Le corse in bicicletta a perdifiato sul ponte della tangenziale in costruzione.

Il caldo di Luglio che scioglieva la fronte e faceva bollire il sangue, dalla voglia di sciogliermi ancora di più.

Le spedizioni in incognito a guardare le ragazze grandi che prendevano il sole.

La piazzetta di fronte a casa dove giocavo coi miei amici. Quanti gol in carriera, quante parate, che tiri ad effetto!

Delle prime volte in cui andavo a scuola in bici, l'inspiegabile cosa che papà si arrabbiava perché non potevo andarci a scuola in bici, pare.

I fotoromanzi erotici nascosti sotto alla siepe del palazzo dove non abitava nessuno di noi, perché in caso "mica è roba nostra questa".

I primi voti bassi, alle medie.

Metal Gear Solid e Liquid Sun da dove ho fatto iniziare tutto quanto.

La scoperta della musica e le paghette che erano tutte nei dischi.

Le prove giù in cantina da A. a inquinarci il cervello. Ma che bene stavamo.

La prima sigaretta; ricordo ancora a chi l'ho chiesta.

La prima canna, poi la seconda e la terza, la quarta.

Il primo concerto giù dal palco, indelebile.

Final Fantasy VII.

La prima canzone scritta.

Il primo concerto sopra al palco, indelebile.

La prima volta che mi sono masturbato.

Il motorino e la precedenza bruciata appena uscito dal negozio.

La patente della macchina.

Le estati a lavorare da papà.

Le altre estati a lavorare con gli argentini.


La mia (nostra) vita è un elenco infinito di cose fatte e pensieri esplosi.

Delle esplosioni fragorose e incontrollate ne ho parlato tempo fa in un vecchio post, ma di quelle che ancora devono essere innescate? 

C'è un reparto speciale dei VVFF per gestirle? Dovrei trattarle come residuati bellici?

Cosa vuol dire crescere? Ci si rende conto? Quanto dura? Quanto è dura lo sappiamo solo noi o da fuori si vede? Tutto lo scarto, la paccottiglia che succhiamo dalle nostre mondiglie, dove si butta? 

E' solo da lasciare per strada e ci penserà il tempo a scioglierla? Ci penserà forse quel il caldo di Luglio? Passa qualcuno a differenziare? 

Abbandonarmi a questi ricordi è come abbandonarmi ad un bellissimo gioco infinito. E' costruire impalcature come a tenere in piedi dei sogni mal o mai riposti, ma che alla fine stanno in piedi eccome, sono sempre stati in piedi. E' lasciarmi andare, è spiegare chi sono, è movimentare le sinapsi, è creare sguardi, abbracci, connessioni. Abbandonarsi è vita luminosa, è amore, sono Ampere di corrente, sono esplorazioni infinite a capire chi siamo, sono le mani che vanno ovunque.

Abbandono è preda e predatore, è il cuore che batte fortissimo, è la pelle che si rompe ma poi si ripara, sono gli occhi che ridono, sono le labbra che senza muoversi parlano, sono gli imbarazzi del guardarsi le pupille, sono il perdersi nel tempo infinito che ci parla sempre, sono le mani che si tengono per le dita.

Non è che crescere sia (stato) davvero solo lasciarsi andare?

domenica 28 aprile 2024

Fotografare l’aria

“We’ll disconnect ourselves from all of yesterday”

Nonostante il peso delle stagioni che passano, mi sto riscoprendo intraprendente. 
Colgo fiori fatti di idee, come non facevo da un po’. 
Colgo idee fatte di mare, e colgo idee fatte di pelle. 

Nel dizionario delle cose giuste e sbagliate 2024 annovero ogni giorno un nuovo puntino, ad adeguare la mia normalità. 
Lo sento nelle orecchie però, il crepitio della vita vera.

Colgo idee fatte di dita delicate e di mani tali e quali al vento. 

Ogni tanto penso che sarebbe bello, a volte, imparare ad anticipare i desideri, farsi trovare pronti quando e se dovessero avverarsi. Solo certi desideri. Niente scorciatoie né poteri strani o pericolosi. Solo sapere prima cosa proveremo, e prepararci per bene. 

Tenendo i piedi per terra:
Sarebbe bello a volte anticipare le sensazioni. 
Sapere un attimo in anticipo. Solo con un attimo di anticipo conoscere di cosa si riempirà il mio petto. Che cosa vedranno non tanto i miei occhi, ma cosa tramite gli occhi percepirà il mio cervello. 
Di cosa si riempirà quell’angolino tra il cuore e lo stomaco dove ci viene fame, dove ci viene paura, dove ci innamoriamo, dove ci fa più male quando stiamo male e anche quando stiamo bene.

Solo con un attimo di anticipo, regalarmi i dettagli e piccoli puntini sulle i.

Così ricchi di dettagli, diventerebbe un dagherrotipo della materia, una fotografia dell’aria. 

mercoledì 24 aprile 2024

La mia complessione che finalmente un po' si risolve.


 "...And when you scan the radio, I hope this song will guide you home."

E' tornato il sole oggi, non mi riempie particolarmente le tasche, ma dopo i giorni di freddo -che è stato bravissimo ad essere freddo- (ma è pur sempre freddo, il freddo) ora mi riempio gli occhi, la pelle e anche le vene di luce, e non solo di globuli b/r, colesterolo, ferro, plasma e piastrine. 

La misuravo in un frame di un sogno storico di qualche tempo fa, la mia distanza dal sole. E' buffo, io non ce l'ho un righello così costruito, nemmeno sono uso a fare particolari calcoli su cui avvinghiare il cervello intorno alla velocità della luce e intorno agli effetti dello spazio tempo, o termici su come si irradia il calore sulla mia pelle. Sì, ultimamente mi piace l'astronomia e la fisica teorica, ma non sono capace. So che la chiamano "unità astronomica"; ma a ognuno il suo.

Però, nel ciondolante transatlantico senza equipaggio che mi sento ultimamente, ho scoperto che c'è una porta, di quelle stagne con quelle maniglione da nave fatte a ruota.
(Ci sono troppe porte nella mia nave, io non me le ricordavo mica tutte).
Aprendo ho sentito un calore fortissimo, come quando si entra in una sauna, che quasi mi ha spinto indietro. Così anargiro delle temperature alte ho avuto paura e ancora a volte ho la sensazione di avere le guance rosse. 
Furfanti del mio corpo, mi avete fatto spaventare.
Entro e mano a mano che la temperatura diventa tollerabile inizio a distinguere che in quella stanza avrei tutti gli strumenti che mi servono.

Ho blocchi notes, calcolatrici, manualistica specializzata, un telescopio, un computer potentissimo e tutto quello che mi serve per misurarla davvero, la mia distanza dal sole.
E allora mi ci metto, notti intere (ad aspettare, ad aspettare teee, dimmi come maiiii) a specializzarmi in verità apodittiche e telegrafiche, dalle quali non mi volevo smuovere. <E' così, Io sono così!>, dicevo. 
Ma non era così, lo sapevo bene che non era così.

Non era così perché poi mi sono svegliato, e mi sono accorto che tutti questi calcoli, in fondo, mi interessava davvero farli? Mi servivano davvero tutti quegli strumenti sofisticati?
Cosa cambia tra il sapere quanto distante sia dal sole e il semplice apprezzarne il calore che sento o vederne il sorriso?
Ma poi, il sole, è davvero così lontano da farci venire la curiosità di quanto sia lontano?
Alla fine è bastata la meraviglia di una sua carezza sul viso, per accorgermi che è vicino, è qui, lo sento. D'ora in poi ti chiamerò col tuo nome, Glósóli.

martedì 23 aprile 2024

Perdiamo entrambi i piedi da sotto i piedi



"Missum báða fætur undan okkur"

A calci, sempre ci hanno preso a calci queste giornate qui.
Sapevo tutto e non avevo idea di niente. 
Avevo idea di niente ma immaginavo tutto. 
Immaginavo tutto e cacchio se lo volevo toccare.
Volevo toccarlo ma non avevo le mani.

Pregno di strati da svolgere in kilometri di tessuto morbido, appoggio la mia testa al petto e ascolto il cuore battere forte. Accelera, rallenta, accelera, rallenta. 
Riuscire ad ascoltare il petto cantare è un lusso per i tempi che corrono, che sgomitano per un posto in prima fila alla meravigliosa manifestazione del noi che inciampiamo, del noi che un battito ogni tanto lo saltiamo, del noi che dormiamo  ma abbiamo sempre tanto sonno, del noi sempre in affanno ma che ce la mettiamo sempre tutta, e del noi che siamo sempre così pluviali di emozioni da non accorgerci del torbido vortice velocissimo di emozioni che poi balbettano. 
Tempi tutti, entrate veloci, stanno per chiudersi i cancelli. 

Sovvertire, oggi, è camminare con le dita a tracciare sentieri nuovi, a disegnare quei segni bianchi e rossi sui tronchi, a fare un piacere a noi stessi per non perderci la prossima volta.
Ogni passo è una relazione poligama tra pozzanghere, terra e scarpe coi buchi, in un torpore freddo da piedi bagnati che però è vita che brucia.

Al buio vediamo sempre meglio. Le pupille si dilatano e catturano più luce, con una magia a volte riescono ad illuminarla, anche quando come oggi il sole è sepolto. 
Fosse che devo scavare, (le) scaverei. 
Bello il buio luminoso.

domenica 31 marzo 2024

Io Portinaio di me stesso

A momenti era come sentire la pressione di tutto il cielo addosso.

Lo spazio non ha odore. 

La pelle è debole. 

Quando sarà davanti alla mia porta, come la riconoscerò la fine? Che aspetto avrà? 


Cosa mi dirà quando sarà qui?

Magari sarà un passante, oppure un venditore porta a porta? Oppure sarà aria, luce e vento caldo?




Dovrò incrociare gli occhi per riuscire a mettere a fuoco toccandomi la faccia per sentire se c’è ancora? Oppure capirò tutto da solo?

La pelle è debole, io inizio ad esplodere. 

Dopamina.

Dopamina. 


Esplodo così forte che in una teoria del loop tutta mia ricompongo me stesso nella stessa esatta forma. 


Sarà cambiato qualcosa? Sono diverso da prima, avrò ancora bisogno delle stesse cose?

Cercherò ancora gli occhi nell’aria che respiro?


Mia complice è solo la pioggia. 

Dopamina. 

Dopamina. 


Sento bussare, sono in pigiama.

È già qui?

giovedì 14 marzo 2024

Allenamenti del muscolo cuore

 


Era una risata consapevole la mia, e mi perdevo nel buio della luce fortissima.

I capelli avevano il colore del cielo buio di un temporale a Marzo. Era tanto che non fischiava un vento così forte, da aver paura ad aprire le finestre.

Mi rendo conto siano chincaglierie emotive, e ogni volta conto ore, minuti, secondi, decimi e centesimi perché finisca presto e che torni semplicemente a piovere sui miei tetti, e che smetta soltanto di soffiare così potente.

Mi spavento sempre molto nel non sapere quanto durerà, nel non sapere dove finirà e mi riparo sottovento nel mio angolino sicuro, ad aspettare che finisca come un cane che aspetta il padrone che torni a casa. Ma mi rincuora sempre sapere che finirà, e mi fa guardare avanti.

Perdere il senso del tempo mantenendo la lucidità nel sentirlo scorrere, nel sentire il sapore che cambia, nel capire come il suo odore faccia ad arrivare nel mio cervello, nel comprendere i movimenti che fa.

Perdere il senso del tempo, nel vedere una cosa da così vicino da perderne i contorni, ma comunque cercando di assaggiarli, mordendoli con i denti e aggrappandocisi con le unghie per non perderli per strada, per non perderli per sempre.

Certe strade, certi giorni.

Ora sto guidando, il vento è passato, piove forte sui miei tetti, mai così esposti ma mai così liberi di essere protetti.



venerdì 8 marzo 2024

Considerazioni di un venerdì grigio, come piace a noi.


Riposati, in acqua calda. 
I polsi si scioglieranno come di fronte a parole liquefatte, i tendini si allungheranno e lasceranno cadere la fatica, la pelle sarà morbida e riposata, il sangue tornerà a scorrere come quando si tolgono le braccia informicolate da sotto il cuscino la notte, le unghie riprenderanno a crescere. Ogni taglio sparirà.

Avremmo dita e avremmo polpastrelli col grip giusto per reggere qualunque emozione nelle nostre mani, nel nostro petto.

Rinascere, elaborare, uscire, respirare, tutto lo stesso lusso di un giorno del futuro, se le mani diventassero uomini.

lunedì 11 settembre 2017


Gli esseri speciali che volano nella notte, altro non sono che i miei arti immaginati che si staccano dal mio corpo e semplicemente acquistano velocità, e un tempo che non esiste.
Non mi capitava mai di svegliarmi nel cuore della notte e pensare alle mie dita come invertite, e non mi ricordavo il tempo di aver avuto la sensazione di chi ha un moncherino, che sente il prurito al piede ma non ha più quel piede.
"E' così che va la vita e le scelte che facciamo, che i rimasugli, certi rimasugli, non se li porta mai via davvero."
E' Settembre, e come al solito non c'è anno e giorno in cui non mi torni in mente tutto. Sgorga, sgorga tutto sempre, il desiderio, la pelle che ancora me la ricordo, le unghie che ancora me le ricordo. Manca, manca tanto sempre tutto della nostra bolla. Era ogni giorno come fosse il primo, e ancora ruoto le convinzioni sul perno del deisderio, per ingannare l'inveccchiare del tempo con le pinze dell'attesa. Scemo, sei scemo se vuoi sorgere adesso. Cosa lo stai illuminando a fare il mondo?
Con quello che è evaporato non riesce a dissetarsi più nemmeno l'aria, e continuo a mortificare i miei sogni, io. Mortificavo i nostri orgogli puntiformi e dispersi , sull'ordinata e l'ascisse delle nostre anime vi siete seduti a prendere fiato, demoni della merda.
Voi e le vostre spettrali conquiste.
Ci rimarremo male, noi e le vostre casuali ragioni nell'ammettere che quella si che era luce, l'unica che in fin dei conti abbia mai potuto illuminarmi davvero.

martedì 20 giugno 2017

Altri echi vivono

Thomas Stearns Elliot stavolta non c'entra.

Lastricavo la mia strada di mattonelle anti scivolo, ormai ero troppo preso e preoccupato di poter cascare di nuovo. Attendevo la fine con la stessa eccitazione di uno che attende un nuovo inizio, o come la fine definitiva, non importava. Importava esserci con la coscienza di non poterlo raccontare.

Stufo, stanco, rotto, schiacciato, caduto, rialzato, caduto.

Saranno le continue disillusioni, saranno i continui muri e i continui musi contro, mi dicevo.
Lastricavo la mia esistenza di palliativi, per un costante effetti placebo da cui mi stava bene non andarmene. Non credevo di avere forze così nuove, né intenti così puri, non di nuovo.

Stare per tanto lontano da tutti, se ti piace, ti piace proprio tanto.
Ti piace tanto finché non incontri qualcuno che rompe quel filo. All'inizio quasi ti scontri con il cambiamento, poi invece hai la possibilità di vedere il mare dove non c'è il mare, vedi la luce al buio e ti sembra che giorno e notte siano la stessa cosa.

Quando arriverà, il vero cambiamento, sarò li per vederlo? "Avrò mani abbastanza grandi? Avrò denti, ossa, nervi?" Saranno abbastanza grandi i miei sentimenti?
E sarà quello che mi aspetto che sia? Sarà lo stesso mare e gli stessi occhi che ho prima immaginato di vedere e poi visto per davvero?

Non c'è limite al modo in cui il mondo mi stupisce, e non c'è limite a quanto vorrei costantemente guardarti gli/negli occhi o appoggiarmi a te ridendo per una mancata pronuncia francese nonostante il mio inconfondibile rotacismo da erre moscia.

E' questione di immensità, e di immensità vere, quante posso dire di averne viste?
Probabilmente due, e sono composte da sclera, iride e pupilla.

venerdì 19 maggio 2017

Tutti i miei giorni


Credo molto alla solitudine.
Credo molto a me stesso quando mi convinco della montagna e me la sono lasciata alle spalle.
Credo sempre tanto, davvero tanto, che i quadrati entrino nei quadrati e i triangoli nei triangoli.

Ne ho scalate tante. Alcune erano colline, altre erano discese da risalire dopo, altre ancora erano ripide al massimo delle percentuali di pendenza, altre erano orizzontale e parevano piane, facili, incredibilmente facili e percorribili senza allenamenti speciali e corse a perdifiato ogni giorno per abituarsi al peggio.

Al peggio non ci si abitua mai, e nemmeno al meglio.

Tutti i miei giorni.
Di cosa sono fatti tutti i miei giorni?

Sono carbonio, sudore facile, mancanza costante di casa e acqua, polpastrelli alla ricerca di qualcosa. Sono sorrisi sprecati, sorrisi veri, risate sguaiate e preoccupazioni costanti in egual misura.
Sono tentativi, i miei giorni sono tentativi di normalità, di arrivare da qualche parte, di arrivare finalmente da te per restarci almeno 5 secondi, che sarebbero comunque interminabili.

Cerco spontaneità, sorrisi, battute cattive ma che partono con troppi denti visibili dietro le labbra, davanti alla voce.
Voglio giorni con l'anima esposta, e l'entusiasmo di volare per la prima volta sopra dei cieli fatti di merda, immerso in una nebbia qualunque.
Che poi stai a vedere che quella dietro è sempre casa mia.

Voglio tutte le fette che non ho mai mangiato e le foto che non ho mai fatto, voglio rinsavire ancora una volta, e scoppiare ogni ago che ho infilzato nella pelle, in tutte le direzioni.
Vettori infiniti, tracce irriconoscibili, brandelli di carne.
Intelligenza e mucose vive.

 Mi manca ancora tutto e non capisco perché mi manchi così.

Sperando in un tale ispessimento tale da magari chiuderlo sto blog di merda, un giorno.
Sperando in un tale nichilismo che azzeri tutto senza possibilità di ricaricamento, per zittirla quella parola sussurrata a me stesso per dirmi che va sempre tutto bene.

 Tutti i miei giorni, questi giorni, riassunti, finiscono con me che annego nel pavimento del mio salotto.

 "When even breathing, feels alright"

venerdì 12 maggio 2017

Escapologia e desiderio


Portavo argomentazioni plausibili a me stesso: chiusa una porta si apre un portone, morto un papa se ne trova un altro, luoghi comuni. Solo una serie di luoghi comuni, ma senza la forza per crederci.

Invece, davvero, è apparso qualcosa. Davvero era illuminato di più il mondo, quel momento.
Davvero mi son sentito irradiato e irrorato (Parole indicibili per me) di luce e schegge di vetro che non mi hanno fatto male.
Erano tagli nella faccia ma non bruciano. Erano fogli di carta a dividere in due la pelle ma davvero non si sente niente, e non c'è sangue, non c'è niente da vedere e non uscirà più niente dalle mie vene.

Mi sento invaso dalla prosopopea dei suoi sorrisi da entità che non esiste, non ancora.
Fidarsi, è crescere o regredire?
Se ti guardassi ora negli occhi mi verrebbe voglia di mangiarti via la faccia.

lunedì 11 luglio 2016

Mezze storielle ancora troppo campate per aria

[...]
Signor Cinque era lo spettatore preferito delle piccole imprese di Gus, da quando era piccolo. Non era altro che un pupazzo dentro il quale ci si potevano infilare le mani a mo’ di guanto, e muovergli la bocca e le braccia con le dita, più o meno come fa un ventriloquo. Signor Cinque, prima di chiamarsi così era solo un pupazzo che suo padre aveva dimenticato il giorno che abbandonò Marie, sotto quella pensilina a piangere da sola. Quel pupazzo era tutto quello che rimaneva di lui, ma decise di non disfarsene. E per il fatto che Gus si era affezionato così tanto, si convinse a non lanciarlo nel fiume.

Gus appoggiò Signor Cinque sul tavolo, con le sue gambe a penzoloni, come fosse uno spettatore, mentre allineava - e ci teneva sempre a farlo con attenzione - forchette e coltelli perché fosse tutto sempre in ordine come piaceva alla mamma, e anche a lui in fondo.
Pensò che una volta finita la cena, invece di andare a dormire presto, avrebbe potuto rimontare una nuova serratura.
Aveva lasciato i pezzi sulla sua scrivania la sera precedente: dei chiavistelli, diverse chiavi, fil di ferro modellato in varie forme, alcune molle e dei cilindretti in un sacchetto.
Prese 2 forchette, altrettanti coltelli e due tovaglioli di carta dal cassetto e, posandoli sul tavolo, in quell’esatto momento, sentì uno stranissimo freddo sul collo, così forte da fare una smorfia e alzare le spalle, come per coprirsi con il colletto della maglietta.

Marie era immobile davanti al lavandino, sembrava osservare l’acqua corrente scendere nello scarico molto attentamente. Avvicinandosi per vedere meglio, capì che lei non era li, perché i suoi occhi erano vuoti, non c’erano più le pupille e l’acqua aveva un aspetto stranamento viscoso, come fosse più densa e scorreva si, ma molto piano.
In effetti era l’unica cosa che si “muoveva”.
Preoccupato anche per se stesso guardò verso il tavolo, e lo vide mezzo apparecchiato con una forchetta nell’aria, ma Signor Cinque non c’era più.
Abbassando lo sguardo lo vide, in piedi, davanti a lui, un po’ più grande del solito, con quei bottoni al posto degli occhi, aperti.

Sorrideva, lui.[...]