mercoledì 23 marzo 2011

whatcha talking 'bout?

Ho visto le loro luci correre veloci verso di me.
Le ho viste chiare, ben delineate, impazzite.
Erano tanti occhi luccicanti, accesi dalla vita scoperta, avuta di diritto, abbandonata, partorita.
Erano occhi colorati, abbandonati come stracci umidi, ma ancora vivi.
Si asciugheranno senza aria né fazzolettini, i nostri occhi.

Evaporeremo tutti un giorno. Evaporeremo in una emissione d'aria carbonica, densa, sulfurea.
Avremmo da parlarne per l'eternità, se dovesse, presto o tardi, succedere.

E come i vari noi, che rappresentano l'io, vorrei che anche tutti voi spariste. Vorrei che questo locale si vuotasse con uno schiocco delle mie dita.
Vorrei vedervi esplodere in mille pezzettini, tra il panico che si creerebbe in mezzo ai superstiti dell'esplosione.
Vorrei vedervi sparire con la vostra Maracaibo.
Vorrei dannatamente vedervi scivolare tutti su quel pavimento.

Ho visto delle luci.
Pur di soprassalto, nulla era cambiato.
Non datemi confidenza, non ne voglio.

venerdì 4 marzo 2011

I pesi massimi

Nell'anticamera del mio nulla non ci sono sedie o poltroncine per l'attesa.
Non ci sono macchinette del caffè a monete e nemmeno vecchie riviste di gossip datato da sfogliare.
Non ci sono signore anziane, e nemmeno bambini ammalati.
Non ci sono milf rifatte.
Non ci sono numeri da prendere per il posto, e non ci sono dottori.
Non ci sono ricette, prescrizioni, buste bianche con le lastre ai polmoni dentro.
Non c'è odore di pulito.
Non ci sono malattie particolari e nemmeno rappresentanti di prodotti medicali che occuperebbero i locali per delle ore.
Nell'anticamera del mio nulla non c'è il bagno. Non ci sono lavandini né lettini.
E nemmeno i rotoloni di carta.
Non c'è nessuno da aspettare.
Non c'è nessuno ad aspettare.
La pipì la si fa negli angoli.

Però è pieno di lividi sui muri, che traspaiono come scritte coperte male da una pittura bianca troppo diluita.
Dovevano dare almeno due mani.
Sono viola, gialli, a volte più neri, come di quelli sotto le unghie che ci si fa con i martelli.
Ma non guariscono mai, come le ferite sulle gengive. Serve molto tempo e costanza nella cura.

Servono medicinali appositi, creme, che qui non posso comprare.
Qui non ci sono farmacie.
E nessuna donna che viene a fare le pulizie.
C'è lo sporco che una volta colava, oramai secco, dai muri ammuffiti, e le ragnatele in ogni angolo.
Il pavimento è lurido, e i battiscopa sono annegati nella polvere e nei ragni nascosti.

Le maniglie sono unte, e i vetri rotti.
Qui non c'è nessuno da aspettare.
Qui non c'è nessuno ad aspettare.

Qualcuno però è stato per la notte qualche volta.

Nell'anticamera del mio nulla una volta c'era tanta gente, che come me, aspettava e viveva.
Ed era tutto così pulito, lucido, vivo. C'erano fiori e finestre, entrava la luce.

Tutti si sono stufati di patire il freddo, e le non-usanze.
Tutti hanno scelto di partire, uscire, liberarsi, dimenticare, usurpare, marcire al contrario, lavarsi di dosso il passato, cucire gli strappi e cambiarsi le scarpe.
Come biasimarli.

Ora invece è tutto denso di odore di chiuso, fetido, umido, vecchio.
Da fuori nessuno penserebbe mai che qualcuno, dentro, ci sia ancora.
Qualcuno in attesa di una diagnosi.



Mi sento una bomba nel cuore, ma non di aver bisogno di artificieri.
La lascerò esplodere in mezzo a tutti.

Mettetevi al riparo, o vi imbratterete, non si sa mai.