martedì 26 ottobre 2010

chiaramente è l'epidermide

Inspessito dagli eventi mi sento soprattutto inerme.
Crosta.
Investire ogni dannata grinza dell'anima.
Pelle.
Grovigli di automobili.
Passi stanchi.

Ho ritrovato la mia inadeguatezza in un momento di un giorno simile a quando l'ho persa, forse in sorso troppo lungo, di quelli che s'annega a pensarci.
Ne ho ritrovata un po' per ogni giorno tessuto fibra per fibra, modellata.
Quante crune d'ago dove doversi infilare.
Quanti posti nascosti da dover mostrare ai vecchi amici.
Quante porte da aprire per quelli nuovi.

Le unghie si staccheranno di nuovo dalle dita.
Si comincia camminando sui talloni si finisce con il perdere l'equilibrio.

Ho ritrovato la mia inadeguatezza, e mi sento di nuovo al sicuro.
Dalle bugie in macchie bianche sulle unghie, e dal tremolìo di una vita che avrebbe seguito una via differente di sicuro.
Avrei calpestato un percorso più curioso?
Il vomito e l'ansia di tutta una vita forse sarebbero stati sprecati per un finale felice.
Tutto ciò sarebbe stato effettivamente una importantissima e significativa perdita di tempo.
Fuori dalle città si consumava già il vuoto e dentro avevate già preso tutto.

Il cervello è confuso.
Occhiali troppo forti e arpeggi troppo lunghi.

Dentro avete già preso tutto.
E avete lasciato tutto bagnato.
Chiaramente parlo di epidermide.
Fermo, e deciso.Chiudo gli occhi e ascolto per vivere.
Limito i danni.
E chiudo a chiave.

Per paura che scappino. Le mie ansie sbilenche.

venerdì 27 agosto 2010

Your english is better when you're drunk

Con un sottofondo che non ha nulla di musicale mi vedo un po' appassito, nonostante i picchi siano stati clamorosi.
Ma, lo sappiamo, viviamo in vortici di sabbia e insetti sconosciuti, siamo polvere di un monte ore di sonno mancate incredibile.
Siamo succubi di un tessuto che a volte non funziona a dovere, ma pensiamo comunque di poterla fare franca.

Ma che poi, dov'è che vogliamo andare?

Alleno le dita e man mano che mi propendo di nuovo alla vita normale, mi sembra che siano passati anni, mi sembra di non aver mai fumato, mi sembra di non avervi mai conosciuto, il tempo mi sembra che sia vento, polvere, pioggia, e fango sulle scarpe.
Non mi rendo conto di nulla ormai.

I giorni sono un su e giù del sole, e per certi versi vorrei che questa fosse la mia normalità.
Quella che uno dopo un po' la si chiama routine.

Vorrei tante cose ora.Vorrei una fetta di tiramisù, vorrei vedermi ancora avvinghiato, vorrei il conto senza sconti, vorrei tornare a modificare i miei contorni a forza di scalfirli con i sassi, vorrei sopravvivere inghiottendo bacarozzi, vorrei inseguirti fino a che sia io che te moriamo, both.

Mi sembra come se la vita non fosse mai sbocciata quest'estate.
Signore, non farmi dimenticare. Non voglio dovermi sforzare di ricordare.

Io ora invece vedo solo volti spenti.
Il mio che è acceso a metà. E fa sempre così caldo.
Volti che non hanno voglia di dire nulla, eppure ne avrebbero di cose da raccontare.
E io che ho sempre avuto paura di essere ripetitivo, e ridicolo.
E confido per una volta che anche si possano dire cose sensate.
Ho una felicità che tenderà a spegnersi velocemente per fattori eventuali ma che sicuramente succederanno, ma che per ora mi tiene in uno spazio che è si stretto, ma che al contempo mi contiene perfettamente.
Prende la mia forma, si forma, si muove.
E' molto sottile ma lo percepisco come resistente.
Sono tutti i sorrisi che ho visto.
Forse quegli stessi che ora sono quelle facce spente, marroni, con la barba appena fatta e le infradito.
Sono le nuvole che ho toccato con le punte delle dita in 2 notti.
It's because of the clouds, and because of the snakes. Let's go in your car, on the backseat.

Mi sono sentito il re del mondo per un po', e ringrazio perché a momenti me lo si deve addirittura ricordare.

Ho adorato quelle mani. E quell'odore come di pelle pulita.
Come le vorrei avere ora, al posto delle mie.
Ho adorato quelle voci e quei serpenti.Ho adorato quelle mele.

Ho sputato per terra, passato ore ed ore al silenzio, macinato kilometri al buio per vedere soddisfarsi la mia curiosità, e vedersi materializzare degli occhi di un colore nuovo, ma quasi già conosciuto una volta. In un momento simile.
Ho osato usando gli occhi, e mi sono visto uno sguardo di risposta.

Ho adorato e allungato le mani sulla mia fetta di torta. Come se tutti già sapessero che il domani non si sarebbe svegliato.

Dove sei stato fin'ora? Where the fuck have you been?

Continuo a non nutrire simpatia, ma in questo momento la vita mi ha detto di stare tranqui.

lunedì 12 luglio 2010

A dorso nudo nel giorno più caldo di questa estate

Stringere il mondo in un pugno e strizzarlo così forte da farlo sanguinare col
sangue di tutti gli animali vivi e appena morti.
Prima che i già morti si addensino.
Torcerlo con le mani e schiacciarlo con la punta delle scarpe.
Ma senza la minima cognizione dei danni.
E senza nemmeno uno straccio d'anima.
Sarebbe stupendo autodistrugersi così, senza saperlo, senza poterlo nemmeno immaginare.

Ho scoperto che il prossimo non è sempre stronzo.
Gli sconosciuti a volte sono più calorosi dei propri genitori e non saranno certo queste giornate afose e dense di acqua che si appiccica sulle braccia a frenarci dai nostri intenti. Moriremmo domani piuttosto.

Come catapulte infernali ci siamo persi in sensi lati e assiomi che durano sempre troppo poco. E non abbiamo guardato questo e quello.
Abbiamo davvero perso tutto questo tempo?
Quanto sono belle le illusioni che durano un attimo? E quelle che durano anni?
E quanto allo stesso tempo sono dei acerrimi rivali per noi?
Quanto?
Come ci siamo riusciti?

Odiamo le scappatoie, ci perdiamo subito d'animo e lasciamo in giro milioni di crune d'ago con infilati i capi leccati dei nostri discorsi.
Abbiamo lasciato milioni di pensieri in aria.
Se il nostro mondo fosse un fumetto, avremmo la vista densa di vignette senza senso.
Ma di certo non avremmo problemi a scrivere in italic a mano.

Odio quando scopro di essermi spento perché so di dovermi accendere di nuovo, e questo piu o meno accade ogni dannata mattina.

Perché dobbiamo dormire per riposare?
Perché dobbiamo raccontare ancora tutte queste bugie e convincerci che riversando le nostre paranoie in parole queste possano salvarci?
Come possiamo pensarlo?
Con tutti quei problemi a coniugare i verbi correttamente, dov'è che vorremmo andare?
Più o meno come quando c'è il sole che abbaglia il mattino presto d'inverno che cerchiamo di nasconderci dietro allo specchietto retrovisore. Meglio rallentare, si rischiano i tamponamenti.

Nessuna domanda è per caso.
E la cosa mi rammarica perché l'hai sempre saputo.
Ma io non l'avevo capito.



lunedì 21 giugno 2010

-tutto di un giorno eventuale non ancora vissuto, e a patto di mille condizioni.- #2

Avrei aspettato, e fatto pipì ancora una volta. E riaperto il frigo, stavolta per mangiare qualcosa di morbido e facile da masticare, dannati elasticini.
Avrei sentito le trombette dei mondiali di calcio eccheggiare, come milioni di insetti che avrebbero voluto solo mangiarmi, picchiando le ali contro i vetri chiusi delle finestre. Bastardi.
E' li che avrei notato quel qualcosa di strano che puzzava di morto nell'aria.
Avrei capito e notato che quell'attendere non avrebbe mai avuto una fine.
Avrei capito che i muri avevano il mio colore perché li era tutto mio. La calligrafia, il cibo, le finestre senza le maniglie che avevo sempre voluto evitare, i vestiti della mia taglia, le scale che non finivano mai, e le mie scarpe spaiate appese per le stringhe.
Ma quelli non erano momenti miei. La vita era sempre stata li, ma io non l'avevo vista in tempo. E per un pelo non c'ho trovato l'acqua dopo il mio tuffo, ma solo i detriti della mia esistenza. C'è qualcuno che si diverte a spostare le piscine mentre mi tuffo.

Sarebbero state tutte inutili mutilazioni. Anzi, risvegliatomi dal quel sogno, lo erano eccome.
Erano tutti dialoghi troncati a metà. Discorsi inventati e sillabe schiacciate.
Ritmi costanti e noiosi, che per certi aspetti rischiano solo di sporcarmi. Adoro quella sensazione del tantoprimaopoimilavo.
Adoro cercare i dettagli, ingoiando gli sguardi, e ancora di più adoro le cose normali.
Sono sensazioni che si dilaniano, e a ben vedere tutto di questo sarebbe importante, se solo lo volessimo ogni momento.
Ho imparato a dare un valore a tutto, ma ho capito che qui intorno sono tutte vesciche che prima o poi dovremo schiacciare con le unghie, e saranno chilometri di cerotti sulla pelle.
Dicono sia solo il caldo.
Il solo immaginarmelo mi fa schiantare.
Non siamo vivi, siamo morti anomali.

domenica 23 maggio 2010

Tutto di un giorno eventuale non ancora vissuto, e a patto di mille condizioni.- #1

Ho pensato di entrare in un palazzo. Pensavo di percorrerne le scale lunghissime, fino in cima.
A guardare ogni nome scritto sui campanelli. Avrei letto ogni Benvenuto scritto sugli zerbini.
Accanito mi sarei fermato a prendere fiato. Non trovavo il nome, eppure l'indirizzo era quello giusto,credevo; anzi ne ero certo.
Pensavo: sfortunato come sono qua si finisce all'ultimo piano.
Ho seguito ogni ruga del muro, e guardato fuori da ogni finestra della tromba delle scale. Dovrebbero ripitturare i muri, e rifare gli smalti.
Ho camminato, e consumato e poi buttato milioni di paia di scarpe, e le vedo li, tutte appese per le stringhe.
Che strano, penso. Mi ero stupito del fatto che mi sarei dovuto stupire di fronte a questo, cosa che invece non accadde.
Ho visto persone uscire di casa e guardarmi tutti storti. Sentivo dei passi a volte, dei tacchi di donna da dentro gli appartamenti.
Ho origliato. Sentivo bambini con il volume della tv altissimo. Ho senito madri urlare di abbassare (sogghignavo). Ho sentito mogli arrabbiate, e mogli eccitate. Ho sentito dei bambini correre e scivolare. E uomini tornare zoppicanti dalla giornata di lavoro di un Martedì che non passava mai, e bestemmiare perché non c'era un ascensore.
Ho pensato che in un altro tempo e momento agli antipodi avrei potuto esserci io al loro posto. Ho pensato che è meglio adesso, in fondo.
Proseguivo, facendo saltellare le dita ad ogni macchia di ruggine sul corrimano, come se indice e medio fossero due gambe in corsa.

Quanto mi divertiva tamburellare coi polpastrelli.
Desideravo un po' di ristoro. Mi riconoscevo un po' bambino perché continuavo insistente a chiedermi quando sarei arrivato. E poi di nuovo. E un attimo dopo di nuovo. E ancora. Ancora direte voi? si.

In cima, tutto sudato, con gli occhiali storti che scivolavano sul naso, mi resi conto di essere arrivato.
Eccolo. Sorridevo, fiero e soddisfatto.
Titubavo ad aprire la maniglia. Cercai di farmi aria con le mani per asciugarmi, per dare una parvenza di non-sforzo, nel caso. In fondo dovevo dare idea di sicurezza.
Deciso a varcare l'uscio senza bussare, entrai.
Pensai che dopo una porta ci sarebbe stata una stanza, e poi una seconda porta, poi dei corridoi, delle lampade appese al muro.
Diavolo, avrei curiosato in ogni angolo, frugato in ogni cassetto, guardato nei frigoriferi, cercato un nuovo rotolo di carta igienica in bagno.
Avrei voluto trovarci dei divani in quell'appartamento, scoprirne ogni piega e ogni cucitura. Potrei giurare che ci avrei trovato un sacco di monetine sotto quei cuscini.
Avrei aperto armadi, e avrei avuto anche uno specchio per provarne il contenuto. Sarebbe stato quasi tutto della mia taglia.
Avrei trovato delle foto sui mobili, dei segni di vita recenti, una macchia in cucina, il calcare nel lavandino.
Avrei acceso la tv. Avrei avuto tutto il tempo di questo mondo.
televendite.
affari.
ottopermille.
alpini morti.
cerchi nel grano.
firme in calce.
In fede.
li.
deficit o eccessi di memoria.

Avrei aperto ogni astuccio nel bagno, provato ogni accendino, acceso una sigaretta nonostante non fumassi da anni, per fortuna erano almeno Chesterfield.
Avrei trovato un biglietto, un post-it come promemoria: "non devi dormire, arrivo".
Avrei fatto caso che la calligrafia era la mia.

Un po' sorpreso dal non trovarti, mi sarei seduto, deciso, per aspettarti.
Che caldo.
[..]


martedì 4 maggio 2010

Sbaragliare sgangherato e paventare stoicamente: Una successione di parole che ci portano dritti nelle tenebre

I bambini sulle altalene.
Vogliono di più.
E noi vogliamo il sangue, lo vogliamo rosso di nuovo.

Il diavolo non è così nero come lo si dipinge.
Quel nero, che stasera rende i bui della mia vita diversi dal solito. E' così strano che al solo pensiero ringiovanisco.
Il mio demone ha una forma diversa, un suono diverso, un tatto e un udito più sviluppati, un naso più fine, e gli occhi più vividi.
Ha i denti patinati, ma ha il fiato di uno che non mangia mai.
Il mio demone fa un rumore diverso. Sembra un suono artificiale. E non lo senti mai arrivare.
Il mio demone non ha un luogo, ma nemmeno è sempre con me. E soprattutto non lascia odore di zolfo.
Il mio demone è arrivato una notte e stava davanti a casa mia. Immobile, esausto. Aspettava me. Aspettava paziente il mio ritorno, era li per bucarmi il cuore con gli spilli.
Mi scrutò per delinearmi. Mi misurò come farebbe un sarto. Mi annusò. Era nato per quello. Ma si ricredette.
Quella notte erano uccelli notturni con la sua stessa patina sui denti che urlavano. Erano lui.
Sarei potuto stare tutta notte ad ascoltarli cantare, per tentare di decifrare il significato di quelle che di fatto erano parole, non versi volatili di un animale con le ali.

Erano quei bambini sulle altalene sotto una pioggia di quasi estate.
Erano i cani con l'eco.
Oppure erano solo vani ma chiarissimi tentativi di chiedere aiuto, ignorati.
Non riuscivo a capire.
Crollai, rassegnato, stremato.

Vogliamo il sangue, lo vogliamo rosso di nuovo come quando non volevo mai suonare la chitarra in pubblico, perché non conoscevo i barrè. Il mio demone sa anche questo. Conosce anche il momento e il perché di quando ho smesso con questo tipo di timori stupidi.

Lui era la soda caustica.
Era l'acido muriatico.
Era le risate strette tra i denti. Era quelle gonfiate.
Non aveva senso spiegare nulla. In fin dei conti, chi l'avrebbe compreso, se non Io?
Non aveva senso.

Il filo e il segno sono già persi in troppi kilometri percorsi senza che nessuno fiatasse o proferisse parola.
Persi nel coraggio che non ho più, nemmeno per addormentarmi.
Senza nemmeno il coraggio di guardarti.
Senza poterti nemmeno vedere per sbaglio.

Il mio demone si vede lontano un miglio che manca di empatia.
Ma so che non mi toccherà. So che non mi torcerà un capello se io non lo vorrò. E se lo vorrò, saprò di meritarmelo.
Non mi toccherà.
Ho imparato ad avere diversi profili di vita, e ad adattarli alle persone, ai luoghi, alle discussioni, amichevoli, o ostili.
E so che per questo se ne starà quieto, ad ascoltare, e ad aspettarmi tra le foglie ogni sera.

Il mio demone ha un sacco di camicie a righe blu. Che è poi l'unico motivo per cui potrei odiarlo.

Il mio demone quando ha voglia vive in casa mia. Dorme sui muri, trasparente.
Si può dire quindi che il suo inferno sia in casa mia.
L'inferno è in casa mia, e viceversa.

Se non ne comprendessi il significato, mi verrebbero di nuovo i brividi come la prima volta.

martedì 27 aprile 2010

il bello della diretta

Saliva in lacrime dagli occhi. E silenzio, tantissimo silenzio comprato in sacchetti pronti all'uso, e pronto alla deflagrazione.
Aggettivi. Ne mancano sempre. Ne mancano perché vorremmo meglio-descriverci la vita.
Mancano gli aggettivi, ma non il silenzio, in parole da non dire mai. Guai anche solo a pensarle. Rovineremmo la reputazione che ci siamo guadagnati.
Ma quanto vorrei dirle, urlarle dalle mie finestre senza le maniglie.
Mi sento un polmone pieno di polvere da sparo respirata per anni, in autostrada, pronto ad esplodere.
Muscoli involontari. Stupidi muscoli involontari.
Ho seminato, e raccolto. Me ne sono cibato quando ho potuto. E ne ho bevuto, ingozzandomi anche.
Ho distinto tutte le divinità coi miei stessi occhi, ed ora ne subisco ogni singola conseguenza e convenienza.
E le conseguenze non sono mai sublimi per il cuore.
Sono un Dedalo incosciente ed ingenuo. Dovevo restare lì fermo, incollato, immobile.
Come una zanzare attirata dalla luce, in fondo, ho insistito, e fallito.
Erano vele spiegate, e capite. Spinte da un vento che puzza ancora d'amore mai scordato e lasciato al ricordo di un sapore che sapeva di cioccolato sulle labbra.
Puzza d'amore ma lo raffredda il cuore. Brilla ma non lo scalda. Come centinaia di chiodi che lo pungono.

Erano ladri di gioia quegli occhi. Ora sono solo frasi senza verbi, senza tempo.
Eppure erano gli aggettivi a mancare.
Sono disagi che sanno di profumi troppo forti.
Cosa nascondete all'olfatto?
Cosa nascondete?

C'è puzza di amore in questo vento che sa di giardini grigi il primo giorno di ogni singolo anno.
Puzza dell'imbarazzo di quando mi dimentico che c'è l'ora da cambiare.
Puzza di frasi senza verbi.
Di uomini senza tasche.
Di musica senza suoni.
Di gesti finti.
E delle mie palpebre senza più occhi dentro.

lunedì 5 aprile 2010

Oggi sono Satana,ed ho appena iniziato a vedermi volare

E' stata una vostra scelta.
Ed è solo perché ho sempre il cuore in gola, che non mi sono riuscito ad oppore con tutti i centimetri della mia pelle.
Sono sempre stato sveglio.
Ma proprio quando non avrei dovuto, mi sono sentito addormentarmi.
E mi sono sentito di accendere nuove candele, divertendomi a spegnerle con uno sbuffo.
Sorridevo a vedere quel rigolo di fumo salire e disperdersi.
Sorridevo al calore che si espandeva, e spariva.

Diluito come il petrolio nel Lambro.
Miriadi di vene che affluiscono laddove nemmeno il velluto che ho comprato riesce a deviare o annullare il corso delle cose.
Sono coltellate nei fianchi ogni mattino.
Un rivolo di caffè cade fuori dalla bocca mentre bevo. E' bollente, e quasi è piacevole che un goccio se ne esca.
Sorrido di questo, e mi asciugo con la manica della camicia.
Inspirando, lontano, noto i versi di una bambina che chiama il padre. Insiste. Forse il padre non la sente, o probabilmente è impegnato. O, meglio, la ignora.
Dovremo fare più attenzione a ciò che i bambini hanno da dirci. Perché ce lo dicono con l'ingenuità. E la purezza.
Sotto di me un varco del mercato del quartiere. Vedo uomini, donne e famiglie col passeggino, o famiglie senza passeggino.
O forse sono solo altre persone tristi e ex coppie fresche di martellate in faccia alle 4 del mattino.
Rimasugli d'amore in lacrime sul cuscino e dentro i fili del telefono.
Occhi gonfi, rossi.
Mutandine dimenticate nel letto.

Il fragore della capitale sembra sommesso questa mattina, e io non faccio altro che tentare di fumare distratto.
Ma, attento, con gli occhi, cerco di carpirne ogni movimento e notare con curiosità che la vita è davvero uguale per tutti, e che ancora tutti qui stanno dormendo.
Io ho già sonno di nuovo. Diavolo d'un Giovanni Lindo Ferretti.

Me ne accorgo sempre, sia chiaro, ma ogni volta è come se fosse la prima, è sempre così diverso, e così uguale.
Ogni volta è così triste, e sempre così affascinante.

Sono il diavolo oggi, e ho appena iniziato a farmi i cazzi vostri.
Stanno ancora dormendo tutti.
E io ho già iniziato tutto da capo.

Parlavo a punti di domanda e non mi accorgevo di quel ritardo di fondo.
Dovrò sapermi anticipare per prevedermi e precedermi, d'ora in poi.
Sto perdendo un arto per volta con ogni mina che innesco camminando ignaro.

Eppure avevo tagliato il filo rosso.
Eppure avevo ripulito i miei cassetti.
Avevo buttato i vestiti sporchi. Ma nonostante questo li ritrovavo sempre pieni di nuovo.

Nemmeno i telefoni squillavano più nelle mie mani.
Non si muovevano gli animali, e nemmeno le automobili.
Me ne chiedevo il perché.

Sembrava tutto ad una velocità ridotta in quel pezzo di mercato.
Me ne chiedevo il perché, di tanta curiosità.
Non capivo cosa avesse innescato quel nuovo naso da sentire quei nuovi odori.
In fondo era solo uno squarcio tra i palazzi.

Ma non erano altro che le bolle sul soffitto a confondermi la vista dal mio v(u)oto, che però scoppiando rifornivano di nuova aria i miei brochi.
Un saluto da sott'acqua. Per non dimenticare.

Oddio, per fortuna, quasi mi avevano confuso dal mio personale giuramento di approccio negativo.

Mi risvegliai dimenticando come avessi fatto ad addormentarmi, e tentando di sognare una nuova giornata col sole dritto in faccia.

Siete già tornate, dannate zanzare.

mercoledì 31 marzo 2010

ho messo le mie carni a frollare, al massimo per due settimane

Altrimenti diventano nere, inizieranno a puzzare.
E sotto i denti non saranno tenere, bensì saranno difficili da masticare.
Questo non è roast beef italiano.
Si incastreranno nei denti, e ci servirà un filo interdentale per levare quei fastidiosi rimasugli tra le otturazioni.

"E, HA, hai sentito che Renzo Bossi s'è preso pure un sacco di voti? E, cosa vuoi che sia, la Lega si sta prendendo tutto!"

Altro che filo interdentale.
Motosega.

"Ma, Ommioddio, questo roast beef è polacco!"


venerdì 26 marzo 2010

siete soltanto un prurito al naso.
Siete soltanto tantissimi brufoli minuscoli.
Siete morti davvero.
Nonostante le proviate tutti.
Poveri voi, siete soltanto parole.
E vento freddo che mi soffia in faccia.
So che la primavera sta arrivando, ma sento pure che voi invece non vi state accorgendo di nulla.


martedì 2 marzo 2010

In capitoli di pagine scritte a metà strada tra il dire e il fare, mi sento soprattutto travolto

Mastico il tempo che è passato e mi accorgo che sono sapori che non ho ancora sentito per bene, forse.
O semplicemente non me ne ricordo. O magari non c'ho fatto caso.
Scelgo di sparire. E di aprire. A voi che siete sconosciuti fidati.
Sconosciuti innocui.
Sconosciuti benvenuti.
Cercherò il nostro sapore.

Quanto ancora prima che si secchi la lingua?

Alle porte della disgrazia, se entri si sgretola.
Era troppo tardi per idratarmi, avrei solo peggiorato le cose.

Ma persisto, senza tempo nè grammatica. Acciaccato dal tempo, e dalla pioggia, a cercare di dare tutto per girare la chiave. Tanto ho l'antitetanica.
A morsi, ci si mette sempre tutti contro tutti.
Contro la ruggine e contro ogni prima, seconda, terza malattia.
E' la mia casa. La mia sabbia. Il mio dormire. Le mie impronte. La mia trama.
La mia paglia che prende fuoco tutta insieme. Come torce umane di capelli che prendono fuoco per un errore madornale, una ingenuità.

Ci ritroveremo pelati per errore.
Come una risata che fugace si ritrae, e fugace ritorna. Avremo un bel sorriso un giorno, avremo voglia di mostrarci felici, bruciacchiati e spelacchaiti, cone i vestiti sempre più sporchi.
Ma avremo nuova sicurezza.
E ci legheremo le cinture ogni volta. Saremo cauti. Non avremo più strani svenimenti.
Saremo dei giovani più giovani ancora, e sempre pronti a tutto. Saremo nuovi, tirati a lucido. Faccia a faccia con ogni mattino.
Senza specchi per casa. Senza buchi nell'anima.
Sceglieremo di vivere senza le lische. O in fondo al mare dove è buio e freddo.
Non sentiremo odori. Ne parole futili, e nemmeno sgommate di automobilsti distratti, nè tantomeno cani che abbaiano la notte, o telefoni che disturbano.
Senza specchi per casa. Senza buchi nell'anima.

Noi che abbiamo sempre visto entrare le sembianze dalle nostre porte. Sempre prima le mani.
E pensare che è la mia casa. La mia sabbia. Il mio dormire.
E dire che mi sentivo forte come il sole. Anche al buio.
Nessuno era nudo alle porte. Nessuno era davvero debole a sufficienza.
Diavolo, d'ora in poi farò anche io la selezione all'ingresso.
E sarò così accurato, preciso, tutto d'un pezzo. E voi potrete dire tutto quello che vorrete, io non mi sposterò.
Non vi farò entrare. Sorriderò alle vostre gesta di disappunto.
Saprò dosare forza e coraggio.
Capre e cavoli.
Mari e monti.

Cerco ancora il sorriso. E dire che non volevo nemmeno svegliarmi, non volevo nemmeno vedere quanto fosse già alto il sole. Avrei dovuto capire, che era la mattina buona per lasciare le membrane al calore di un giorno che non m'aspettavo; Tutt'ora stento a crederci.
Quanto impiegherà la lingua a seccarsi?

Dovevo saperlo, che erano tutti parassiti con i corni da guerra.
Contro quale muro mi sarei dovuto lasciar andare? Di quante voglie avrei dovuto dipingere il mio volto? Di quali altre melodie mi sarei dovuto nutrire? Per quanti momenti ancora?
Quanto impiegherà la lingua a seccarsi?

Saprò dosare forza e coraggio.
Saprò giocare col fuoco.
Rischiando di tagliarmi. E di riempirmi l'anima di botte viola, poi gialle.
Ma senza bruciare, mai.

In fondo, ce lo respiro un retrogusto di ottimismo nella buca del letame.


martedì 9 febbraio 2010

ricostruzioni di eventi e assiomi intitolati al dormiveglia.

L'amore porta il dolore, e il dolore, poi, non se ne va più, alla meglio si tramuta e, di fatto, rimane il groppo, li. Dove tutti credono sia lo stomaco a stringersi. Tutti sbagliano perché è li che si nasconde la nostra anima.

E' solo tipo una puntura d'insetto. E così anche noi saremo al sicuro da ogni spiacevole eventualità ed irritazione. Gonfiamoci di cortisone.
Vedrai, sparecchieremo di nuovo quelle tavole ancora imbandite di cibo non nostro, di acqua non nostra, di posate pregiate ma lerce di sugo, di tovaglioli sporchi di altre bocche.
Ruberemo i brandelli del loro tessuto, ci infangheremo nelle loro sfrenate agonie di sapori mischiati. Ci infrangeremo le palpebre per la sorpresa. Le lacereremo, sono così fini.
Ma non ci prenderanno mai. Nemmeno andandosene senza salutare, loro, che erano ospiti inattesi.

Speravo di riuscire a passeggiare di nuovo tra quei vicoli in salita che portano solo altre paure tendenziose. Fatti spenti. Occhi morbidi. Grida letali. Occhi armati del peggior fiato, mani ruvide.
Piedi gelati,viola. Scivolano senza il tatto. orgogliosi. A suon di sale sulle ferite.

Fino ad oggi ho addobbato la mia testa sperando mi potesse distrarre. sperando di acquistare nuovo fiato per salire ancora, sperando che potesse servirmi a non rovinare tutto quanto costruito fino ad ora. Speravo di riuscire a salvare prima che saltasse la corrente. Ho visto tutto spegnersi davanti al mio naso. A un centimetro dal burrone. Che poi non c'avrei più nemmeno pensato ai tuffi di spalle giù dove non c'è niente.

Ho creduto fosse semplice riempirmi di sorrisi e di nuove proposte di legge da discutere nel mio parlamento.
Non ho mai pensato alle conseguenze della sete di potere, e mi tengo alla larga dal volerne.
Mettetemi in condizione di poter scegliere davvero. Vi dirò chi sono.
Vi dirò davvero chi sono. Confesserò tutto. Racconterò tutto agli inquirenti. Non voglio un avvocato.

Voglio una nave.
Imparare a domarla e partire. Senza soldini, e senza monete. Senza remi e senza vele.

Sventolavano le bandierine, sul molo. Milioni di usa e getta puntate ad un volto ringiovanito.
Tutti quanti costretti a rincorrere un carro che non si fermerà mai ad aspettarvi davvero.

E' una nave che serve.

Non carri armati, o auto velocissime, o treni rapidi ma sempre in ritardo.
Sono contento di guardarvi sudare mentre correte contro uno specchio, perché avete fatto tardi.
Vi farete del male. Vi tagliuzzerete le guance e i palmi delle mani, non riuscirete a passarci attraverso.
E non arriverete in tempo.

Sarete come dei volatili fastidiosi che si schiantano sulla parete di un palazzo di vetri. Sarete tutto il malaugurio e la sciagura che cercherò di scacciare dalle mie notti.
Volatili.
Cercherò di scacciarli. Ma so che torneranno.
Sempre più affamati di vedermi dormire.
Sempre più prepotenti.
Sempre più veloci.Precisi.Sinuosi.Aderenti allo stomaco. Non era reflusso gastroesofageo, ecco cos'era.
Torneranno a rovinare tutti i pomeriggi di quei sabato che sanno di innocuo.
Li ricacceremo. Cercheremo di volergli male, capiranno che non devono tornare.
Torneranno. E ci porteranno alla pazzia.
Non si fermeranno mai, continueranno a tormentarci.

Bisbigliavo, tormentato.

Sono speranze verdastre, sporche, contorte, rinnegate, miscredute, concrete, spaccate a pezzi e incollate colandoci sopra la plastica, sulle crepe.

Mettetemi in condizione di scegliere e lo capirete, chi sono.

Sarete dei volatili silenziosi e furbi. Sarete un arpeggio ripetuto allo sfinimento.
Sarete uno sbatter d'ali violento e malizioso.
Sarete un afta sulla gengiva.
Sarete una vescica gonfia sul dito.

Estirperò tutto.
Antibiotici e sale in zucca.
Smaltirò tutto, forse.
Tuttavia, hanno vita breve questi fermenti lattici.

Costruisco, provo. Distruggo, riprovo.

Pensavo di esserne immune ormai.
Così tante toppe e medicinali. Quei volatili erano scappati, impauriti dai miei spaventapasseri col cappello di paglia.

Assimilavo bene, miglioravo costante, crescevo regolarmente, mangiavo sano.

Ma erano valutazioni sbagliate, diagnosi errate e cure fuori luogo.

E io che volevo una nave.

Inciampavo ma non cadevo, e camuffavo tutto con una risata sempre nuova.
Ero immerso ma respiravo aria pulita a pieni polmoni, parlavo spedito. Nessuno di quei volatili faceva più capolino al capolinea.

Mi sono trovato con le mie orecchie che scoppiavano. Immaginando che le tue fischiassero.

Mi sono sentito corretto e impostato.
Reciso e cucito.
Lavato e piegato.
Pulito e dissetato.
Ma mai completato.

Sono un vuoto a rendere a me stesso e
di nuovo immerso, respiravo con la cannuccia.
Ma era solo alcool giù nel naso, e bruciava parecchio.

Venite a vedere. C'è un corpo in terra, sulle strisce pedonali. Non si sono fermati, dannati pirati.
C'è sangue dappertutto e delle ossa rotte.

C'è gente che parla. Parla ma non vede. E pronuncia parole non sue.
Parlano e non vedono.
Ma se vedessero.


lunedì 1 febbraio 2010

Stritolati i serpenti, scacciate le cavallette, abbiamo mandato a monte i vostri piani

Pedalavo biciclette immaginarie, e con gli occhi chiusi, bruciati e gonfi dal sonno e dal fumo denso della stanza con le carte, vaneggiavo vago. Addormentandomi dove possibile.
Mente lucida e corpi morti. Morti stecchiti.
Corpi ancora irrigiditi dal rigore e contorti nelle dita di una mano che con ogni probabilità non smetterà di stringere, facendolo sgorgare sempre il sangue denso, di quello che prima d'ora l'abbiamo visto solo in qualche film, o in qualche brutto incidente da piccoli.
Sangue vero, che sa di ferro.

Ho iniziato a mischiare i sintomi e le conseguenze.
Curo ogni doppia sbagliata, ogni punteggiatura errata, ogni maiuscola fuori posto, ma continuo a confondere le ombre e, ogni volta che me accorgo, ne perdo un pezzetto.

Sono vistosi i danni.
Sono vistosi e fastidiosi.

Nel tedio di una preghiera ben recitata decido di sparire nella macchia, di darmi una mossa e di brindare a tutti quei giorni in cui ti si taglia la faccia tanto l'aria è fredda e mirata in mezzo agli occhi.
A tutti quei giorni in cui le ferite non riescono nemmeno ad asciugarsi perché l'aria al contrario è troppo poca.
A tutti quei giorni di martirio lavorativo.
A tutti quei giorni in cui pensavo potesse cambiare, la vita.
A tutti quei momenti non capiti ai quali ho pensato troppo tardi.
A tutti quei giorni pieni di post-it.
A tutti quei giorni intrisi di lapidi, di frenate con l'abs, di fiori, di dita medie fuori dai finestrini, di battute esilaranti.
A tutte quelle mattine di ghiaccio.
A tutti quei giorni di desiderio assoluto di diventare qualcosa.
A tutti quei giorni di caos.
A tutte quelle persone così strane da non crederci.
A tutte quelle voci sprecate, mai sentite, ignorate: brindo!
Ed espiro fino al vacuo. E poi di nuovo inspiro fino a scoppiare. E poi di nuovo, e ancora, e ancora. Finché decido di rassegnarmi a riacquistare solo un colorito normale e un respiro regolare.
Ricordo quello che avrei voluto essere. Pensavo ci sarei riuscito, ad ogni costo. Con ogni mezzo.
Confondevo i sintomi. I toni e pure i semitoni.
Nel tedio di una ricerca che è un incognita, c'ho provato, riposando le mie ossa ogni notte.


Le stanze sono gremite, e c'è ancora tutto quel fumo a farmi lacrimare.
Le facce sono molteplici, e solo a spintoni possiamo riuscire a non cadere.
Dopotutto saremmo capaci a rialzarci. Non avremmo grossi problemi.
In fondo il nostro lavoro è cucire toppe sulle ginocchia.
Scelgo di uscire non facendoci troppo caso. Senza donne cannone da immortalare e senza pagine da voltare di nuovo.
Così, secco.
Al sapore di ferro.

Aspetto che si sciolgano i ghiacciai.
Vedo le luci spegnersi, guardo la stanza gremita svuotarsi. I vetri sono ancora appannati.

Da buon mendicante scelgo di tornare dentro. Chissà se qualche sbadato ha perso qualcosa nella ressa.
Noto che qualcuno con un intento preciso, non certo per sbaglio, ha lasciato delle monetine; forse in pegno per l'inferno.

Lascio tutto com'è e me ne vado sorridendo, perché la fuori, tempo beffardo, sta già nevicando rosso.

lunedì 4 gennaio 2010

codardie

"sorrido. rido. non importa. ignorami ancora, e smetterò di desiderarti."
il nostro mestiere è questo. parlare di problemi. esporli come se potessimo pensare che qualcuno li possa risolvere. al momento, con una formula magica, infallibile.

La realtà è ben distante dall'essere capita, ma molto vicina all'essere fraintesa.
E noi ci nutriamo di misunderstandings. Ogni giorno, in ogni frase che scriviamo, che urliamo, che pronunciamo a bassa voce per non farci sentire.
In ogni momento. E continuiamo ad alludere al fatto che vorremmo stare bene, meglio, ma rimaniamo con 2 braulio da pagare e nient'altro nella testa se non i soliti discorsi ricorrenti e, di fatto, le solite scuse.

Girandoci intorno così tanto stiamo perdendo il senso, e i sensi.
Dovremmo ricordarcelo ogni giorno che abbiamo un naso, una lingua, delle dita, due occhi e due orecchie. Dovremmo saperlo.
Ma continuiamo a parlare di nuovi propositi buoni, di nuove idee che mai realizzeremo, discorriamo sorseggiando e scaricando di conseguenza.

Abbiamo l'amore nelle parole, ma la lingua che è una lama.

Girandoci intorno così tanto stiamo perdendo i sensi. E così tutti quanti.
E cadranno anche loro, così pieni del loro apparire, così fieri del loro esoscheletro da non accorgersi che si sta sgretolando ogni giorno che passa, che corre, che risplende, che si spegne, che muore.
La mia vita è un cumulo di risposte da accoppiare ad un altro cumulo di domande. Come quando da piccoli giocavamo a memory, con quelle carte simpatiche.

Allora non avevamo bisogno del fosforo. Non ci serviva, ci bastava giocare. E nemmeno di tutti questi altri medicinali anti spasmo.
Ci bastava giocare.
Ci serviva solo quello.
Capisco davvero ora quali possono essere i veri problemi che si riscontrano vivendo.
E le conseguenze di certe negligenze sono davanti ai nostri occhi. Le vediamo, e le dovremmo conoscere bene.
Ne faremmo tesoro, e vivremmo facendo scelte che potrebbero cambiare le nostre vite fioche, tremolanti, se solo lo desiderassimo, se solo le volessimo conoscere.

Ce l'avevo un cassetto.
Antichissimo. Era inserito in un mobiletto altrettanto antico, ma il resto non m'è mai interessato molto.
Vedendolo così, tutto segnato, con il segno del bicchiere sopra e tutta la polvere sembrava abbandonato e in disuso da anni.
Al contrario, le cose importanti sono sempre dentro. E un bel vaffanculo ai maniaci della pulizia.

Le cose importanti vanno dentro.
Foto.
L'attestato del corso di canto.
Tutti i biglietti dei miei concerti.
3 dischi.
Le password che non si possono dimenticare.
Biglietti da visita, bancarelle per lo più.
Un orologio, anzi 2 o 3 o 4. Non metto l'orologio da anni. E' un peccato per certi versi.
Un posacenere colorato, che ancora puzza di sigarette. E in tutti quegli intagli metallici credo ci sia ancora della cenere di Chesterfield.
Qualche penna.
I miei vecchi portafogli.
In effetti alcune non sono cose così importanti, ora. Forse lo sono state?
Si.
Se una cosa era importante prima, è importante anche dopo?
Si.
Ma non tutte le cose.
O comunque non tutte le cose sono e restano importanti allo stesso modo.

"Imparerai un giorno a distinguere.
Imparerai a distinguere le cose preziose da quelle futili.
Imparerai a distinguere quando puoi scappare, e quando invece devi restare. Lo capirai.
E capirai che quando scappi prima o poi ritornerai. Anche solo per un momento, tornerai. Qui, dove sei cresciuto, dove sai che tutti in fondo ti amano, e non avrebbero mai voluto che tu partissi.
Sappilo così da essere pronto.
Preparati.
E fai tutto quello che vuoi, in tempo. Ma impara a capire quando è ora di smetterla.
Vivi la tua vita esagerando quando sai di poterlo fare.
E mantieni sempre il controllo.
Non ti prenderanno mai, così.

Non capiranno mai le tue mosse.
Non ti inseguirà nessuno. Sarai tu a inseguire loro, e nasconditi quando li vedrai girarsi a controllare. Nasconditi.
Solo così non ti troveranno mai.

Resta in silenzio. E ascolta ciò che gli amici avranno da dirti. Ascoltali e chiedi il loro tempo quando sentirai di averne bisogno, e ne avrai bisogno.
Ti aiuteranno. E ascolteranno in silenzio. E ti parleranno.

Ascolta sempre buona musica.
Spesso ciò che sei è ciò che ascolti.
Quindi, inizia con i Metallica, non sbagli mai. Vai sul sicuro.
Non importa con cosa continuerai, l'importante è non vantarsi del proprio nuovo podcast su iTunes.
E soprattutto, non usare più eMule."