martedì 1 settembre 2015

Latitudini nordiche e quel canonico disfacimento con boato.

"Here I lay, still and breathless, just like always. Still I want some more mirrors sideways, who cares what's behind. Just like always, still your passenger."


In Islanda ho conosciuto un uomo di 52 anni, si chiama Ingi.
Al grido "Mates eat everything, coz there's plenty of everything" tutti, soprattutto Pietro, mangiavamo come gli animali stessi di cui ci stavamo cibando.
Ingi mi ha regalato una bottiglia di grappa e 2 sigari.
A Snaefell, Ingi mi raccontava di quando va col suo figlioletto sugli stessi altopiani, nei posti più remoti ai piedi del ghiacciaio Vatnajokull (estate e inverno sono solo calendario), e di come solo li riesca davvero a sentirsi libero.
Cercavo quando possibile di arrivare e tornare per primo, non per poi vantarmene o per noia o fretta di ripartire, ma per essere il primo in quel frangente temporale a poter prendere fiato aspettando gli altri e pensando, sempre più stupito ed entusiasta: "Ma davvero sono qui?"
Mentre non mi trovavo alla guida cercavo sempre di guardare fuori dal finestrino, quando non ero preso dal chiacchiericcio (solitamente proveniente dai sedili posteriori, che erano quelli femminili) o dalle domande assurde di Enrico, e sempre piccolo piccolo arricchivo la mia memoria fotografica, per tornare a casa potenzialmente anche senza fotografie, per poter far davvero mie quelle distese di nulla così intimo, così enorme, così accogliente.
Ingi ci ha salutato come salutano in Islanda, abbracciandoci tutti singolarmente, ma come fosse un abbraccio enorme, di 23 persone che però riescono tutte ad incrociarsi le braccia l'uno con l'altro.
Ma mi sentivo pronto per aver voglia di casa, stanco com'ero.
Sono tornato con la solita nostalgia del ritorno, ma pieno di quei pezzettini, sentendo ancora l'abbraccio a volte complice di Martina, Dassi e Ingi, vedendo ancora le imprese di Pietro, sentendo ancora i tasti pesati malissimo di quel pianoforte suonato malissimo da me a Reykjavik e il sorriso di Emma mentre mi guardava non ricordarmi la parte di "Primavera" di Einaudi, toccando ancora il fango giallo di Hverafellir, godendo ancora nel vedere quella Panda gialla 4x4 targata Italia, di quel tale Federico, fare un guado impossibile, sentendo ancora l'odore di zolfo aprendo il rubinetto dell'acqua calda, quando era disponibile.
Ma subito mi sono state ricordate le solite conferme che tengono in equilibrio il grafico, fatte di lavoro, fatte di risvegli improvvisi alle 3 del mattino con lo stomaco che esplode in conati attesi, fatte di parole cattive quando gli intenti erano completamente diversi, fatti di bestemmie per uno stupido ritardo in ufficio, fatto di sorprese sempre puntuali, e sorrisi nuovi, o persi definitivamente.
Di certo ho capito qualcosa in più finalmente, che qui non si riesce a capire mai un cazzo.
Takk, bless bless!
Che sia di sabbia nera, di acqua calda e silenzio sotto forma di pozza, o di commenti insignificanti misti a incomprensioni plateali feat. scenate stramasticate e stradigerite, in questo periodo ho certamente fatto scorpacciate del concetto di: Deserto.

Ingi ha cucinato per un gruppo di 19 disperati per 14 giorni, ci ha coccolati, ci ha fatti sentire parte, insieme a Martina e al mitico Dassi, di un qualcosa più grande di un gruppo.
Ci ha fatto sentire parte di una terra, la sua.
Plasmata da mani incredibilmente precise, e devastanti allo stesso tempo.
Ingi lavora tutto l'anno facendosi il culo per alzarsi alle 5 del mattino e fare l'autotrasportatore e in estate va a fare il cuoco nei viaggi organizzati.
Ci ha detto che non ha mai visto nessuno mangiare come noi.

Era la sua parola d'ordine: There's plenty!

Io gli ho regalato un disco dei Black Sabbath, e un abbraccio così, come il suo che mi ha dato dopo questo episodio, difficilmente l'ho sentito da un altro essere umano.
Stretto e spontaneo, sfociato in un "Stefano, there's even a live version on the second disc! It's awesome! tomorrow I'll meet my girl, and then, on Monday (NO CALLING SICK!) I'll listen to it, on my truck!" 
Non l'ho più sentito, chissà se gli è piaciuto.

Ingi è l'unica persona che abbia capito al volo il volto del bambino nel tatuaggio che ho sul braccio: "When I listen to Sigur Ros, I feel a chill in my spine, everytime. You feel it too, don't You?" Io gli ho solo risposto sorridendo "Yes, Takk Ingi, nobody recognized it before. Goodnight!"
Io lo guardavo con gli occhi di un bambino a cui stanno per consegnare un regalo, e allora come adesso ripensandoci, non sono riuscito a guardare tutta quell'immensità, quelle forze pazzesche della natura, con quello stesso sguardo riconoscente e fiero.
Ho pensato che per assaporare davvero quei paesaggi sulle mie papille dovessi farmi minuscolo, e a passetti corti dovessi raggiungere qualunque vetta, e affrontare ogni dislivello senza apparenti paure di fallimento, o di scivolare sul fango e a passi lunghi, ritornare alla base.


Sotto la pioggia, sotto le tempeste di cenere, spostato dal vento che così forte non lo avevo mai sentito, davanti a kilometri di lava che non se ne vedeva la fine, dentro la calda acqua naturale sulfurea, fuori dalla stessa, ai piedi del Bardarbunga, o del Hekla, nella valle di Eldgja, a Snaefell, non ho mai battuto ciglio.
Volevo e facevo, mai affrontata cosa più semplice.

Ho creduto di essere veramente dove avrei dovuto essere.
Non ai piedi di un palazzone a San Polo, non in un locale di merda con le luci basse e le liste che appiccicano di mani sporche o con la musica alta, non alla festa di Radio Onda d'Urto, non a casa dei miei genitori, non a casa mia, ma li, qualunque fosse il "li" di quel momento.

Sono partito con delle aspettative incredibili, e quelle stesse mani precise me le hanno divise in cenci che porterò sempre con me.


Si è sempre a tempo a cambiare idea sulle persone, e, certamente, anche su me stesso, magari per cercare nuovi contorni e nuovi modi per dimostrarmi (obiezione a me stesso accolta).
Ma al fragore non c'è limite.

Tanto vale iniziare ad andarsene davvero appena possibile, pianificando già nuove tappe e nuove storie, per abituarsi all'abitudine della mente veloce.
E per lasciarsele dietro le persone, quelle che più ci provi, anche male-perché nessuno è perfetto-, più ti impegoli nella pienezza imprescindibile delle loro convinzioni e nella materia grigia del cervello dei ciechi e di chi non ha ancora combinato niente, ma ha tante scintillanti pietre da lanciare.
Parlando di attualità, sguazzateci voi nei drammi organizzati a tavolino e nelle apologie di stocazzo, nella vostra vita senza il coraggio di fare qualcosa di diverso davvero, crogiolatevi nelle parole che sferrate così perfettamente ordinate, qualche conto lo dovrete fare prima o poi.
Ma presto, iniziate a rimboccarvi le maniche, si sa mai che ci sia bisogno anche di quelli come voi un giorno.



"Fatevi davvero minuscoli, non solamente ridicoli." (Cit.)
The Blue Lagoon, 22 Agosto 2015.
Scattata con una Qumox sj400 da battaglia.