martedì 4 maggio 2010

Sbaragliare sgangherato e paventare stoicamente: Una successione di parole che ci portano dritti nelle tenebre

I bambini sulle altalene.
Vogliono di più.
E noi vogliamo il sangue, lo vogliamo rosso di nuovo.

Il diavolo non è così nero come lo si dipinge.
Quel nero, che stasera rende i bui della mia vita diversi dal solito. E' così strano che al solo pensiero ringiovanisco.
Il mio demone ha una forma diversa, un suono diverso, un tatto e un udito più sviluppati, un naso più fine, e gli occhi più vividi.
Ha i denti patinati, ma ha il fiato di uno che non mangia mai.
Il mio demone fa un rumore diverso. Sembra un suono artificiale. E non lo senti mai arrivare.
Il mio demone non ha un luogo, ma nemmeno è sempre con me. E soprattutto non lascia odore di zolfo.
Il mio demone è arrivato una notte e stava davanti a casa mia. Immobile, esausto. Aspettava me. Aspettava paziente il mio ritorno, era li per bucarmi il cuore con gli spilli.
Mi scrutò per delinearmi. Mi misurò come farebbe un sarto. Mi annusò. Era nato per quello. Ma si ricredette.
Quella notte erano uccelli notturni con la sua stessa patina sui denti che urlavano. Erano lui.
Sarei potuto stare tutta notte ad ascoltarli cantare, per tentare di decifrare il significato di quelle che di fatto erano parole, non versi volatili di un animale con le ali.

Erano quei bambini sulle altalene sotto una pioggia di quasi estate.
Erano i cani con l'eco.
Oppure erano solo vani ma chiarissimi tentativi di chiedere aiuto, ignorati.
Non riuscivo a capire.
Crollai, rassegnato, stremato.

Vogliamo il sangue, lo vogliamo rosso di nuovo come quando non volevo mai suonare la chitarra in pubblico, perché non conoscevo i barrè. Il mio demone sa anche questo. Conosce anche il momento e il perché di quando ho smesso con questo tipo di timori stupidi.

Lui era la soda caustica.
Era l'acido muriatico.
Era le risate strette tra i denti. Era quelle gonfiate.
Non aveva senso spiegare nulla. In fin dei conti, chi l'avrebbe compreso, se non Io?
Non aveva senso.

Il filo e il segno sono già persi in troppi kilometri percorsi senza che nessuno fiatasse o proferisse parola.
Persi nel coraggio che non ho più, nemmeno per addormentarmi.
Senza nemmeno il coraggio di guardarti.
Senza poterti nemmeno vedere per sbaglio.

Il mio demone si vede lontano un miglio che manca di empatia.
Ma so che non mi toccherà. So che non mi torcerà un capello se io non lo vorrò. E se lo vorrò, saprò di meritarmelo.
Non mi toccherà.
Ho imparato ad avere diversi profili di vita, e ad adattarli alle persone, ai luoghi, alle discussioni, amichevoli, o ostili.
E so che per questo se ne starà quieto, ad ascoltare, e ad aspettarmi tra le foglie ogni sera.

Il mio demone ha un sacco di camicie a righe blu. Che è poi l'unico motivo per cui potrei odiarlo.

Il mio demone quando ha voglia vive in casa mia. Dorme sui muri, trasparente.
Si può dire quindi che il suo inferno sia in casa mia.
L'inferno è in casa mia, e viceversa.

Se non ne comprendessi il significato, mi verrebbero di nuovo i brividi come la prima volta.

2 commenti:

La poeta ha detto...

alla poeta piace questo elemento... :)

soleliquido ha detto...

e a me può solo far piacere. grazie lapoeta.