domenica 10 novembre 2013

Il solito soliloquio


"Attraverso questi anni, sono giunto e ripartito. Ho compreso e dato vita."

Abbiamo tantissimo orgoglio e grande considerazione di noi stessi, ma, chissà, forse siamo gli unici ora, non certo i primi, magari gli ultimi, a crederlo.
Non abbiamo bisogno di confronto, abbiamo bisogno di bianchetti per cancellare i tratti storti, per rifarli, più dritti possibile.
O forse avremmo dovuto usare una matita, per non rovinare il foglio. Prenderemo certamente un brutto voto.

Dobbiamo sempre appagare l'occhio e il cuore allo stesso tempo.

Non abbiamo più bisogno di altri amici, ne abbiamo già abbastanza.
Avremmo invece bisogno di più lacrime da far evaporare, ma solo al bisogno; in fondo, nonostante tutto, non siamo ancora messi così male da volerne ogni momento, in ogni dove.

Abbiamo tantissimo orgoglio e grande considerazione di noi stessi, ma ne vorremmo di più, di quell'autostima mutata che ci permetterebbe di campionare noi stessi per anni, per poter tracciare un andamento valido.Ma abbiamo il nulla dentro, paradossalmente; con le cose da fare che non finiamo mai di fare..
Abbiamo tutto il nulla dentro le/sulle spalle.

Di cosa è fatto il nulla? Ha un peso specifico?

Quello che so è che sono passate settimane, fatte di giorni senza luce e notti senza buio.
Sono passati stracci di parole senza radici né desinenze.
Sono passati sentimenti fatti di cuore al limite dell'esplosione.
Sono passate mani, e gambe aggrovigliate.

Quello che resta ha sapore di impronta e importanza, e di vero amore dissipato senza uniformità.
Quello che resta ha il sapore del non detto per la troppa paura di dirlo.

Sono passati risvegli, sogni e segni di unghie nella pelle.
E notti rannicchiati, per le coperte ancora troppo leggere e per il clima indeciso di Settembre.

Passeranno momenti che trasuderanno condense non mie.
Passeranno sotto al mio naso odori e profumi non miei, che "meglio annusarli intanto che ci sono”, per parafrasare non so chi.

Fondamentalmente avremo trasduzioni.

Abbiamo tribolato e liso le trame all'altezza delle ginocchia, assottigliando il tessuto e la cortina dei nostri sentimenti più belli, sempre repressi fino ad (all)ora.
Per osmosi oltremodo spontanea, ci siamo abbandonati a quel vortice alle volte stupendo, altre volte d'un viola poi giallo. Senza maggiore attenzione avremmo strappato il tessuto.

Quando abbiamo sbagliato, abbiamo raccolto, e allo stesso tempo seminato ancora, perché ne avevamo il bisogno, e ne avremmo ancora forse.
Volevamo solo essere, dare e avere, dentro.

Quasi trasalivamo, ma certi rimasugli è meglio lasciarli dove sono.
Non si sa mai, il sapore potrebbe essere variato, la consistenza modificata, il gusto sparito.
O forse potrebbe essere tutto ancora intatto, messo li apposta per farci cascare ancora nel pozzo dove non ci vogliono più, perché abbiamo già bevuto la nostra razione.

Ingordigia canaglia.

Ci sarebbe, la luce in fondo al pozzo, ma non la riusciremmo più a baciare con le labbra come fossimo l'ennesimo Amerigo che scopre cos è l'amore.
Come fossimo i primi... 
Saremmo più degli sgangherati Arthur Gordon Pym coi nostri bagliori bianchi da ultima pagina. Sicuramente senza cani impazziti al seguito, ma certamente accecati.

Indeboliti, ci faremo bastare qualche molecola o filamento ancora in giro per casa.
Con la cortina che torna ad essere spessa, ma sempre troppo leggera.  D'un viola poi giallo, in un impenetrabile e puntuale catenaccio di lividi.

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