mercoledì 24 aprile 2024
La mia complessione che finalmente un po' si risolve.
martedì 23 aprile 2024
Perdiamo entrambi i piedi da sotto i piedi
Sapevo tutto e non avevo idea di niente.
Avevo idea di niente ma immaginavo tutto.
Immaginavo tutto e cacchio se lo volevo toccare.
domenica 31 marzo 2024
Io Portinaio di me stesso
A momenti era come sentire la pressione di tutto il cielo addosso.
Lo spazio non ha odore.
La pelle è debole.
Quando sarà davanti alla mia porta, come la riconoscerò la fine? Che aspetto avrà?
Cosa mi dirà quando sarà qui?
Magari sarà un passante, oppure un venditore porta a porta? Oppure sarà aria, luce e vento caldo?
Dovrò incrociare gli occhi per riuscire a mettere a fuoco toccandomi la faccia per sentire se c’è ancora? Oppure capirò tutto da solo?
La pelle è debole, io inizio ad esplodere.
Dopamina.
Dopamina.
Esplodo così forte che in una teoria del loop tutta mia ricompongo me stesso nella stessa esatta forma.
Sarà cambiato qualcosa? Sono diverso da prima, avrò ancora bisogno delle stesse cose?
Cercherò ancora gli occhi nell’aria che respiro?
Mia complice è solo la pioggia.
Dopamina.
Dopamina.
Sento bussare, sono in pigiama.
È già qui?
giovedì 14 marzo 2024
Allenamenti del muscolo cuore
Era una risata consapevole la mia, e mi perdevo nel buio della luce fortissima.
I capelli avevano il colore del cielo buio di un temporale a Marzo. Era tanto che non fischiava un vento così forte, da aver paura ad aprire le finestre.
Mi rendo conto siano chincaglierie emotive, e ogni volta conto ore, minuti, secondi, decimi e centesimi perché finisca presto e che torni semplicemente a piovere sui miei tetti, e che smetta soltanto di soffiare così potente.
Mi spavento sempre molto nel non sapere quanto durerà, nel non sapere dove finirà e mi riparo sottovento nel mio angolino sicuro, ad aspettare che finisca come un cane che aspetta il padrone che torni a casa. Ma mi rincuora sempre sapere che finirà, e mi fa guardare avanti.
Perdere il senso del tempo mantenendo la lucidità nel sentirlo scorrere, nel sentire il sapore che cambia, nel capire come il suo odore faccia ad arrivare nel mio cervello, nel comprendere i movimenti che fa.
Perdere il senso del tempo, nel vedere una cosa da così vicino da perderne i contorni, ma comunque cercando di assaggiarli, mordendoli con i denti e aggrappandocisi con le unghie per non perderli per strada, per non perderli per sempre.
Certe strade, certi giorni.
Ora sto guidando, il vento è passato, piove forte sui miei tetti, mai così esposti ma mai così liberi di essere protetti.
venerdì 8 marzo 2024
Considerazioni di un venerdì grigio, come piace a noi.
lunedì 11 settembre 2017
Gli esseri speciali che volano nella notte, altro non sono che i miei arti immaginati che si staccano dal mio corpo e semplicemente acquistano velocità, e un tempo che non esiste.
Non mi capitava mai di svegliarmi nel cuore della notte e pensare alle mie dita come invertite, e non mi ricordavo il tempo di aver avuto la sensazione di chi ha un moncherino, che sente il prurito al piede ma non ha più quel piede.
"E' così che va la vita e le scelte che facciamo, che i rimasugli, certi rimasugli, non se li porta mai via davvero."
E' Settembre, e come al solito non c'è anno e giorno in cui non mi torni in mente tutto. Sgorga, sgorga tutto sempre, il desiderio, la pelle che ancora me la ricordo, le unghie che ancora me le ricordo. Manca, manca tanto sempre tutto della nostra bolla. Era ogni giorno come fosse il primo, e ancora ruoto le convinzioni sul perno del deisderio, per ingannare l'inveccchiare del tempo con le pinze dell'attesa. Scemo, sei scemo se vuoi sorgere adesso. Cosa lo stai illuminando a fare il mondo?
Con quello che è evaporato non riesce a dissetarsi più nemmeno l'aria, e continuo a mortificare i miei sogni, io. Mortificavo i nostri orgogli puntiformi e dispersi , sull'ordinata e l'ascisse delle nostre anime vi siete seduti a prendere fiato, demoni della merda.
Voi e le vostre spettrali conquiste.
Ci rimarremo male, noi e le vostre casuali ragioni nell'ammettere che quella si che era luce, l'unica che in fin dei conti abbia mai potuto illuminarmi davvero.
martedì 20 giugno 2017
Altri echi vivono
Lastricavo la mia strada di mattonelle anti scivolo, ormai ero troppo preso e preoccupato di poter cascare di nuovo. Attendevo la fine con la stessa eccitazione di uno che attende un nuovo inizio, o come la fine definitiva, non importava. Importava esserci con la coscienza di non poterlo raccontare.
Stufo, stanco, rotto, schiacciato, caduto, rialzato, caduto.
Saranno le continue disillusioni, saranno i continui muri e i continui musi contro, mi dicevo.
Lastricavo la mia esistenza di palliativi, per un costante effetti placebo da cui mi stava bene non andarmene. Non credevo di avere forze così nuove, né intenti così puri, non di nuovo.
Stare per tanto lontano da tutti, se ti piace, ti piace proprio tanto.
Ti piace tanto finché non incontri qualcuno che rompe quel filo. All'inizio quasi ti scontri con il cambiamento, poi invece hai la possibilità di vedere il mare dove non c'è il mare, vedi la luce al buio e ti sembra che giorno e notte siano la stessa cosa.
Quando arriverà, il vero cambiamento, sarò li per vederlo? "Avrò mani abbastanza grandi? Avrò denti, ossa, nervi?" Saranno abbastanza grandi i miei sentimenti?
E sarà quello che mi aspetto che sia? Sarà lo stesso mare e gli stessi occhi che ho prima immaginato di vedere e poi visto per davvero?
Non c'è limite al modo in cui il mondo mi stupisce, e non c'è limite a quanto vorrei costantemente guardarti gli/negli occhi o appoggiarmi a te ridendo per una mancata pronuncia francese nonostante il mio inconfondibile rotacismo da erre moscia.
E' questione di immensità, e di immensità vere, quante posso dire di averne viste?
Probabilmente due, e sono composte da sclera, iride e pupilla.
venerdì 19 maggio 2017
Tutti i miei giorni
Credo molto alla solitudine.
Credo molto a me stesso quando mi convinco della montagna e me la sono lasciata alle spalle.
Credo sempre tanto, davvero tanto, che i quadrati entrino nei quadrati e i triangoli nei triangoli.
Ne ho scalate tante. Alcune erano colline, altre erano discese da risalire dopo, altre ancora erano ripide al massimo delle percentuali di pendenza, altre erano orizzontale e parevano piane, facili, incredibilmente facili e percorribili senza allenamenti speciali e corse a perdifiato ogni giorno per abituarsi al peggio.
Al peggio non ci si abitua mai, e nemmeno al meglio.
Tutti i miei giorni.
Di cosa sono fatti tutti i miei giorni?
Sono carbonio, sudore facile, mancanza costante di casa e acqua, polpastrelli alla ricerca di qualcosa. Sono sorrisi sprecati, sorrisi veri, risate sguaiate e preoccupazioni costanti in egual misura.
Sono tentativi, i miei giorni sono tentativi di normalità, di arrivare da qualche parte, di arrivare finalmente da te per restarci almeno 5 secondi, che sarebbero comunque interminabili.
Cerco spontaneità, sorrisi, battute cattive ma che partono con troppi denti visibili dietro le labbra, davanti alla voce.
Voglio giorni con l'anima esposta, e l'entusiasmo di volare per la prima volta sopra dei cieli fatti di merda, immerso in una nebbia qualunque.
Che poi stai a vedere che quella dietro è sempre casa mia.
Voglio tutte le fette che non ho mai mangiato e le foto che non ho mai fatto, voglio rinsavire ancora una volta, e scoppiare ogni ago che ho infilzato nella pelle, in tutte le direzioni.
Vettori infiniti, tracce irriconoscibili, brandelli di carne.
Intelligenza e mucose vive.
Mi manca ancora tutto e non capisco perché mi manchi così.
Sperando in un tale ispessimento tale da magari chiuderlo sto blog di merda, un giorno.
Sperando in un tale nichilismo che azzeri tutto senza possibilità di ricaricamento, per zittirla quella parola sussurrata a me stesso per dirmi che va sempre tutto bene.
Tutti i miei giorni, questi giorni, riassunti, finiscono con me che annego nel pavimento del mio salotto.
"When even breathing, feels alright"
venerdì 12 maggio 2017
Escapologia e desiderio
Portavo argomentazioni plausibili a me stesso: chiusa una porta si apre un portone, morto un papa se ne trova un altro, luoghi comuni. Solo una serie di luoghi comuni, ma senza la forza per crederci.
Invece, davvero, è apparso qualcosa. Davvero era illuminato di più il mondo, quel momento.
Davvero mi son sentito irradiato e irrorato (Parole indicibili per me) di luce e schegge di vetro che non mi hanno fatto male.
Erano tagli nella faccia ma non bruciano. Erano fogli di carta a dividere in due la pelle ma davvero non si sente niente, e non c'è sangue, non c'è niente da vedere e non uscirà più niente dalle mie vene.
Mi sento invaso dalla prosopopea dei suoi sorrisi da entità che non esiste, non ancora.
Fidarsi, è crescere o regredire?
Se ti guardassi ora negli occhi mi verrebbe voglia di mangiarti via la faccia.
lunedì 11 luglio 2016
Mezze storielle ancora troppo campate per aria
Signor Cinque era lo spettatore preferito delle piccole imprese di Gus, da quando era piccolo. Non era altro che un pupazzo dentro il quale ci si potevano infilare le mani a mo’ di guanto, e muovergli la bocca e le braccia con le dita, più o meno come fa un ventriloquo. Signor Cinque, prima di chiamarsi così era solo un pupazzo che suo padre aveva dimenticato il giorno che abbandonò Marie, sotto quella pensilina a piangere da sola. Quel pupazzo era tutto quello che rimaneva di lui, ma decise di non disfarsene. E per il fatto che Gus si era affezionato così tanto, si convinse a non lanciarlo nel fiume.
Gus appoggiò Signor Cinque sul tavolo, con le sue gambe a penzoloni, come fosse uno spettatore, mentre allineava - e ci teneva sempre a farlo con attenzione - forchette e coltelli perché fosse tutto sempre in ordine come piaceva alla mamma, e anche a lui in fondo.
Pensò che una volta finita la cena, invece di andare a dormire presto, avrebbe potuto rimontare una nuova serratura.
Aveva lasciato i pezzi sulla sua scrivania la sera precedente: dei chiavistelli, diverse chiavi, fil di ferro modellato in varie forme, alcune molle e dei cilindretti in un sacchetto.
Prese 2 forchette, altrettanti coltelli e due tovaglioli di carta dal cassetto e, posandoli sul tavolo, in quell’esatto momento, sentì uno stranissimo freddo sul collo, così forte da fare una smorfia e alzare le spalle, come per coprirsi con il colletto della maglietta.
Marie era immobile davanti al lavandino, sembrava osservare l’acqua corrente scendere nello scarico molto attentamente. Avvicinandosi per vedere meglio, capì che lei non era li, perché i suoi occhi erano vuoti, non c’erano più le pupille e l’acqua aveva un aspetto stranamento viscoso, come fosse più densa e scorreva si, ma molto piano.
In effetti era l’unica cosa che si “muoveva”.
Preoccupato anche per se stesso guardò verso il tavolo, e lo vide mezzo apparecchiato con una forchetta nell’aria, ma Signor Cinque non c’era più.
Abbassando lo sguardo lo vide, in piedi, davanti a lui, un po’ più grande del solito, con quei bottoni al posto degli occhi, aperti.
Sorrideva, lui.[...]
lunedì 7 marzo 2016
Perseverare non è diabolico, è solo l'errore che rimane umano.
Quando abbiamo sentito male li dentro l'ultima volta?
giovedì 3 marzo 2016
I colori di Landmannalaugar
Camminammo 3 ore in mezzo alla lava, l'obiettivo era la cima "minore", per noi scansafatiche dell'ultimo momento.
Mancavano pochi giorni al ritorno a casa, ed ero stanco, stanchissimo, per i miei standard di sonno/veglia, ma avevo il cuore pieno, e così veloce non l'avevo mai sentito, tanto che lo sentivo nel petto, nella gola, man mano che aumentavo il dispendio energetico.
Passata la prima salita sulla lava, arrivammo ad una fumarola, dove mi fermai a prendere fiato prima di ripartire.
Non lo dissi per non fare il "di più" con gli altri. Mi limitai a pensarlo, che "chi si ferma è perduto".
Dovetti correggere il tiro perché non mi sentivo perso, fermandomi. Avevo semplicemente freddo, quindi ripartii per riaccumulare calore.
Sudavo tantissimo, e quell'odore fortissimo di zolfo non mi faceva respirare bene come avrei voluto.
E si che fa bene, ma quando è troppo, è troppo.
Sapevo di sale.
Era quasi mezzogiorno, avevo fame ma volevo concludere la salita/discesa prima di mangiare, per non soffrire di quei fastidiosi, indicandomi la milza, "mi fa male qui, posso fermarmi un attimo?"
Tenendo la fame, proseguii sulla salita, tutto stava diventando arancio davanti a me.
Lasciatomi alle spalle l'odore di zolfo e fatta la pipì dietro un angolo, mi rimisi in marcia, da solo, sempre lasciandomi indietro tutti. Godevo letteralmente così.
Arrivato sulla cima non vedevo nessuno, ma durò poco perché una coppia di francesi interruppe la mia solitudine voluta, e dovetti anche fargli una foto. Gliene chiesi una anche io, in cambio.
Fermo ad aspettare gli altri pensavo a quanto poco ancora sarei stato ancora da quelle parti, mancavano solo 3 notti. Pensavo alla voglia che avevo di tornare a casa, pensavo a quanto fossi stanco, a quanti sali minerali stessi perdendo per strada, senza gatorade per reintegrarli, e con una fame clamorosa ad attangliarmi la discesa.
Era tutto mozzafiato, per usare una parola normale.
Non avevo mezzi diversi per rendermene conto, e in un attimo mi trovai già giù, sempre lasciando tutti dietro.
Presi anche un sentiero sbagliato e ricordo che mi tremarono le gambe durante la discesa in una piccola gola. Ci scorreva dentro un piccolissimo rivolo d'acqua, che rendeva tutto scivoloso, talmente tanto che il culo per terra ce lo appoggiai un paio di volte, per evitare voli più pericolosi.
Meglio sporcarmelo che spaccarmelo.
Una volta sceso e seduto, restai ad aspettare gli altri godendo di una sigaretta, meritatissima.
Non ero comodo, seduto sulla roccia, ed è pazzesco come restai quasi 15 minuti a guardare il nulla e a sbuffare fumo ogni 30 secondi. Davanti a me era una pianura vastissima, che concludeva la sua superficie sulla stessa lava dal quale eravamo partiti al mattino, ma faticavo a vederla, questa conclusione. Ci fermammo per il pranzo, ma durai poco nei discorsi che accompagnarono il cibo, e la ripartenza.
I professionisti iniziarono a parlare di sanità, costo delle prestazioni, l'infermiera diceva la sua, l'impiegato Ferrari la sua e l'urologo in pensione pure. Io non seguivo le loro parole, e allungai di nuovo il passo.
Anche li era tutto "paciugo", e la camminata fu quasi più difficile della salita/discesa, mi inzuppai un pochino.
Seminato tutti arrivai alla base, per fumarne un'altra, seduto con le gambe a penzoloni sulle "palafitte". Ero distrutto, completamente spaccato in due a livello muscolare, ma non avevo più il fiatone, non avevo più sensazione di non farcela, ed è li che mi resi conto che non ero per niente pronto per tornare a casa, al contrario di quello che il mio fisico avrebbe voluto.
La stanchezza non era stanchezza.
Come quando ci si abitua a mangiare di meno, e lo stomaco di restringe.
La mi successe una cosa simile, ma al contrario, con il cuore.
E chi è ci riesce, mo', a sgonfiarlo.
lunedì 29 febbraio 2016
Pensieri rapidissimi senza doverci riflettere troppo
"I remember well the day that I got my first tattoo: I was so scared before, and after I was so proud that it was new. But these days I've gone and got me many more, and sometimes I get more when I get bored. One for every year I've lost"
Perciò?
Pensavo ai pericoli sabato sera, pensavo ai miei compagni di scuola cresciuti.
Pensavo a come siamo cambiati, separatamente l'uno dall'altro, e a come questa lontananza non sia durata per caso.
Sono felicissimo ora, di quando da piccoli o eri figo perché baciavi le ragazzine, o eri sfigato perché non riuscivi con le ragazzine e avevi la bicicletta più straccia degli altri, e ti scrivevano "gnurant" con la scolorina sulla sella.
Sono felicissimo ora di vederle, le stesse ragazzine cresciute (invecchiate) solo di corpo, sciupate, bruciate subito, sorridenti a metà, incinta chissà di che padre. E sono ancora più contento di vedere voi ragazzini cresciuti solo nel corpo e nel portafoglio. Però li spendete proprio male.
Servirebbe uno stoppino nuovo a voialtri, un contenitore non bruciacchiato, nuove narici e nuovi lavori di cui parlare.
Siete noiosi, voi e i vostri cocaina e vino bianco fermo.
Siete noiosi, nei vostri cantieri.
Siete noiosi nel vostro champagne ordinato e brillantamente pagato da voi.
Siete noiosi, del come deridete ancora i soliti poveracci.
A parte i soliti ho salvato pochissimo.
Mi rincuora aver incontrato persone che credevo perse e invece ho trovato rinnovate, forse rinsavite da matrimoni troppo precoci, forse sorridenti per circostanza o forse sorridenti per davvero, o forse per sdrammatizzare la delusione dalle conferme.
La brava gente la si distingue, la merda la si annusa da lontano.
venerdì 26 febbraio 2016
cumuli di polvere e schiena ricurva fantasticando su mattinate diverse
#Buongiorno
Stamattina il sole non splendeva, ma mi fa sempre sorridere vedere chi parcheggia fuori sudare di primo mattino per raschiare il ghiaccio dal parabrezza. Onomatopee di ogni tipo nell'aria.
Mentre esco per buttare il sacchettino di Lain, saluto Eleonora, una ragazza bellissima che abita di fronte a me. Non sento parolacce uscire dalla sua bocca, ma ho scommesso ne stesse dicendo un sacco, perché il risultato del raschiamento era evidentemente una merda.
Avrà avuto una pessima visuale andando a lavoro, o all'università, o dovunque vada tutte le mattine che la incrocio a 7.40. A quell'ora io sono in ritardo, ma ho un garage.
La mia visuale invece è sempre perfetta e mi stupisco sempre tantissimo quando, guardando a nord dallo svincolo della Bre.Be.Mi, con il cielo pulito, riesco a vederle come fossero a 1 metro da me le Alpi, imbiancate ma meno del solito, pulite, ferme, pacifiche, pesantissime.
La montagna è ignara di quello che succede a valle, e a valle siamo ignari di quello che succede alla montagna, ma è sempre così bella da guardare, nei suoi molteplici scorci, che quando sono così visibili diventerebbe anche curioso, anche se dispendioso in tempo, stare ad analizzarli e ridisegnarli tutti, con la precisione di una matita ben temperata.
Ho solo un paio di kilometri con il Nord davanti a me, ed è incredibile come ogni volta faccia gli stessi identici ragionamenti, ogni volta, ogni dannatissima volta.
Quanta roccia c'è nelle montagne?
Quanto cuore c'è nelle montagne?
Qual'è il peso specifico di queste menate che mi faccio entrare nella testa?
Cazzo ma, son sempre state li uh?
Sarà difficile arrivare la sulla cima? Intendo il puntino? Si potrà? Non si potrà?
E' pazzesco il concetto di: Montagna.
montagna
mon·tà·gna/
sostantivo femminile
1.
Rilievo della superficie terrestre, di altezza non inferiore ai 600 m, caratterizzato dall'origine almeno terziaria e dall'aspetto almeno parzialmente impervio; può implicare l'idea di quantità o massa insolitamente grande, cui si associa l'idea del peso oltre che delle dimensioni.
Una mattina dovrei farlo di uscire di casa per andare a lavoro normalmente, arrivare a quello svincolo, fermarmi, comporre il numero del mio capo, chiamarlo per dire che non riuscirò ad andare a lavoro, e andare dritto a quel Nord e fin dove possibile, guidare.
E poi fin dove possibile, camminare.
E' dall'estate islandese che non faccio una gran camminata, ne avrei bisogno, e otterrei quella sensazione. Quella che tutte le volte me la dimentico ma quando la ritrovo è una gioia pazzesca.
Sembra di avere una di quelle lavagne magiche con quel cursore da spostare per cancellare tutto, però nella testa.
In un giorno qualunque è una roba bellissima, quella di sentire l'esatto momento in cui ci si riesce a pulire da tutto e da tutti.
Quell'esatto istante in cui le cose son sempre in salita si, ma chiarissime, e completamente visibili e riconoscibili. Spiegate e capite, che non avrei scuse perché sarebbe tutto fin troppo semplice.
E se sotto a tutta questa mattinata inventata ci fosse questa canzone, chi me lo farebbe fare di tornare indietro, a casa, o in ufficio?
Solo Lain forse, ma mi porterei anche lei, che forse una volta la farei felice davvero.
giovedì 25 febbraio 2016
Parole al vento come al solito
Non vale più nulla.
Non vale mostrarsi, non vale esporsi, non vale far vedere le proprie paure?
Non vale farsi conoscere?
Non vale più aprire i cassetti e anche se odoranti di chiuso da anni, mostrarne il contenuto?
Non si fa più di dire a una ragazza quanto sia bella, la prima volta che la si vede?
Non si dice più "Grazie", "Per cortesia", "Prego", "Si figuri"? E "scusa" quando ci si scontra per sbaglio?
Perché non posso dire a una persona che le voglio bene anche se l'ho appena conosciuta?
Dobbiamo per forza odiare i nostri ex?
Nessuno la fa più un piccolo ritorno sui proprio passi ogni notte prima che ci si addormenti?
Non si fanno più i propositi, intendo quelli realizzabili?
Non ci si incontra solo per chiacchierare? Bisogna per forza che ci sia qualcosa da fare?
Perché?
Perché non abbiamo tutti un gatto?