martedì 24 dicembre 2013

Incontri del primissimo tipo, e dell'ultimo momento.



Complice il malcontento, cercavo solo angoli sfruttabili per sfuggire alle luci sferzanti della sera.
Complice la pioggia decisi di stare in casa; non era molto indicato prendere la macchina, come avrei voluto, per andare chissà dove.
Complice l'allegria della vodka mi trovai a dipingere i soliti ricami sul volto e sulla dita, con le dita stesse, nella mia testa.

Mi ritrovai invece appeso per i piedi, a testa in giù, ai miei ghirigori.
Sentivo già pulsare intorno agli occhi e nelle vene della fronte.
I pensieri a piede (non) libero, il sangue alla testa.

Cadere fu quasi liberatorio, di fronte al problema dell'insorgere di una forte nausea o di un fastidioso offuscamento della vista.
Cadere fu un gran fragore di ossa, carne, vetri e muscoli. 
Comunque obnubilato, mi accorsi del pavimento per il gran dolore ai gomiti.

Vedermi cadere fu anche peggiore del sentirlo con le mie stesse ossa.
Vedermi mi fece comprendere, solo poi, che una caduta non si risolve semplicemente rialzandosi.

Vidi me stesso avvicinarsi, per guardarmi negli occhi.
Nei suoi vidi me, ma ben saldo sui suoi piedi.
Nei miei vide lui, ma travolto in entrambi i sensi, scomodo, conciato per le feste, claudicante, con la barba lunga, senza voglie di vegliare sulle sue scorribande emotive, né sul suo fegato, né sui non-sorrisi.

< E' quasi Natale, e quest'anno è una festa infernale uh? > , chiese.

Mi aiutò a rialzarmi e a pulirmi dalla polvere sui vestiti con un paio di pacche sulle spalle, a spolverarmi.
Continuò a fissarmi, senza dire nulla, tenendo le sue mani sulle mie spalle.
La visione dei suoi-miei occhi era allo stesso tempo monito e rassicurazione, e gli affanni sembrarono pietre senza peso ma anche senza senso apparente, momentaneamente.

Cercare di stare in piedi simulando un sorriso, fu solo un tentativo di minimizzare, maldestro.

Vedermi provarci mi fece sorridere un po' meno.
< Perché ci caschi sempre così? "Gli altri stanno ancora vivendo, e noi qui a guardarci dentro?". Ricordi? >


< Sono i Kina, grazie del proiettile. >

< Sei un coglione. >

Rimasi quasi di stucco, per quanto diede per scontato il mio essere già cadavere. Come dargli torto?
Tentennai nella risposta. 
E non risposi, per evitare ulteriori dazi fatti di sensi di colpa (inaspettatamente attuali).

Credetti di non aver davvero più nulla da dire, di dovermi ricaricare, di dovermi spegnere per un po', per farmela crescere davvero la barba; per smettere di coricarmi così storto e di svegliarmi messo peggio del giorno peggiore dei giorni peggiori. 
Mi resi conto di essere stufo, stressatissimo, ma nonostante tutto, sorpreso, colto sempre alla sprovvista.
Avevo sete, ma in questi tunnel non ci sono mai bottigliette d'acqua, figuriamoci se preparate già svitate, per chi va di corsa, di quelle che qualche anima buona a volte mette sui palchi, prima di suonarci.

Furono notti insonni le precedenti, figuriamoci le successive.
Furono dritti e rovesci, sulla faccia ogni sera, e nel collo ogni mattina.
E la bocca chiusa.

Lui era sempre li, come ad aspettarmi, ad ognuno degli innumerevoli risvegli.
< Pensi possa essere adesso il momento che la smetterai di cagarti nella testa? Tutto bene? >

Decisi di parlare, le non-notti forse il loro consiglio l'avevano portato.

< Tutto bene, dai, a parte la vita... E a parte che persevero a riaprirmi la ferita con la falce arrugginita. 
Insomma, mi sa che sbaglio a guardare il panorama. 
Ci si perde ogni dettaglio (a guardare ogni dettaglio ci si perde il panorama).
Tipo la mappa su cui sono, che mi ha un po' disorientato, mi ruota sotto i piedi e mi dà il Nord sbagliato. Mi manda in direzione dell'Oceano del Passato.
Ma io non sono più il ghepardo di una volta (che non sono mai stato).
Ma Orfeo, se vuoi voltarti, puoi girarti quando vuoi. Lascia il comando della nave a Capitan Senno di Poi, e nel frattempo gli avvoltoi mi continuano a mangiare quelle briciole di pane che ho lasciato galleggiare sopra il mare.
Ma in fondo è meglio: mi fanno ricordare che il mio tempo perduto non lo posso ricercare.
Un granello di sabbia nella clessidra che continua a girare.
Nel cerchio di mezzo la Luna Nera. 
E' un abbaglio o al buio le cose si vedono meglio?
Lo so mi sbaglio se mi incaglio nelle rocce ormai sommerse, nell'assenza di radici o in tutte le altre cose perse, nell'esilio dagli amici, nei miei vortici a spirale che trascinano anche me nell'ingorgo della solitudine stellare.
E non avendo un focolare mi succede che non so dove tornare, quindi adesso barra a dritta, si procede, che dietro ormai la costa non si vede.
E avere fede in qualche stella non lo so se mi conviene.
Perché il vero volto delle cose è al buio che si vede bene.
Dito medio alle Sirene che mi hanno paralizzato cantando l'Irrealizzato del ghepardo che non sono mai stato.
Ho un veliero senza vele che mi porterà nel centro del caos in mezzo ad ogni possibilità.
Non è il mestiere mio questo mestiere qua di galleggiare nel cerchio di mezzo. Sempre a metà, ma sfasato dal centro un po' più in là.
Seguo il flusso delle onde, vedo il nulla all'orizzonte.>

Forse, allora, capii perché lui in quel momento, semplicemente sparì.

Complici il malcontento e la vodka, ebbi solo il coraggio di addormentarmi: per cercarla davvero la solitudine stellare, per rabbrividire all'altezza della cervicale, o forse solo per colmare un vuoto con un altro.

O più probabilmente, per consumarmi.

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